Riguardo la faccenda dello scambio di blogger di cui si sono resi protagonisti Gaspar Torriero e Andrea Perotti, vorrei chiarire che non hanno inventato nulla.
Da un mese i post di quest blog in realtà li scrive Seth Godin.
Riguardo la faccenda dello scambio di blogger di cui si sono resi protagonisti Gaspar Torriero e Andrea Perotti, vorrei chiarire che non hanno inventato nulla.
Da un mese i post di quest blog in realtà li scrive Seth Godin.
La Association of National Advertisers (ANA) ha prodotto una interessante ricerca, in collaborazione con lo IAB (Interactive Advertising Bureau), la AAAA (American Association of Advertising Agencies), e la società di consulenza Booz Allen Hamilton. Lo studio (che potete scaricare qui) è intitolato Marketing & Media Ecosystem 2010, e si propone di identificare quali sono asset, priorità, capacità e alleanze necessarie oggi e in futuro lungo la catena del valore marketer-agency-media. Hanno partecipato oltre 250 marketing manager.
Prendo e sviluppo al volo alcune considerazioni che mi sembrano particolarmente stimolanti e quanto mai utili a inquadrare e arricchire il vivace dibattito che nei giorni scorsi ha animato più di un blog. (In fondo trovate alcuni riferimenti)
Innanzi tutto occorre osservare come i consumatori non solo ora interagiscono con le iniziative e i messaggi delle aziende, ma ridisegnano, modificano e ridistribuiscono i messaggi attraverso le comunità cui appartengono. Il nuovo mix di media oggi disponibile ha trasformato il vecchio modello “one-way” in un complesso e dinamico insieme di “media forum”.
In questo nuovo scenario i “fondamentali” del marketing non sono mutati, ma competenze, strategie, tecnologie e investimenti necessari per poter competere sono cambiati profondamente.
L’atteggiamento delle aziende sembra caratterizzato da una parte della consapevolezza dei marketing manager dell’importanza di creare in azienda una nuova “cultura digitale”, dall’altra dal fatto che le aziende in cui lavorano non hanno in realtà assimilato questo messaggio e intrapreso le azioni necessarie.(oltre il 75% dei casi). Le barriere a questo processo sembrano essere soprattutto la mancanza di metriche di misurazione, la mancanza di un vero supporto organizzativo in azienda, e una generica carenza di esperienza con i “new media”.
Ma veniamo ai temi chiave emersi della ricerca (non necessariamente in ordine di importanza):
1. Marketing as Conversation: ormai è chiaro che il marketing non è più “inviare messaggi”, ma conversazione e co-creazione di esperienze con i consumatori. I marketer devono ricorrere a un mix totalmente nuovo di media e di strumenti per potenziare la loro capacità di conversazione. In questo senso viene rilevato come circa metà dei marketer intervistati preveda di incrementare la quota del proprio budget complessivo destinato alle relazioni pubbliche.
2. Insight into Foresight: le tecnologie oggi consentono una profondità di visione sui comportamenti dei consumatori e un targeting prima impensabile. Oltre l’80% dei marketer interpellati credono moltissimo nelle potenzialità del “behavioral targeting” .
3. Media: The New “Creative”: i meccanismi di distribuzione e i contesti assumono cerscente importanza rispetto all’esecuzione creativa stessa. I marketer investono per disporre di nuove funzionalità e tecnologie che colmino il gap che separa media, la creatività e la strategia di brand. L’80% degli intervistati sottolinea come il communication planning sarà una funzione sempre più critica nel futuro.
4. Marketing + Math + Technology: la qualità, la quantità e l’accessibilità delle informazioni hanno portato la misurazione matematica in tutti gli aspetti del marketing.
5. The Network Effect: la migrazione verso i media digitali rende necessario un superiore livello di collaborazione e coordinamento tra tutti i player dell’ecosistema. Molti marketer indicano che capacità creative, strategiche e media devono essere ripensate nel oro insieme, anche se non viene identificato con chiarezza quale sia il player o il tipo di agenzia di riferimento. Inoltre le tradizionali partnership creative stanno cedendo il passo alle “media partnership”. Questo trend sembra indicare che le partnership tra media company e media agency divengano più importanti delle tradizionali “full service agency partnerships”.
Ma allora quali sono le chiavi del successo ? Tra quelle elencate nella ricerca ne vorrei sottolineare alcune.
Prima di tutto attrezzarsi per facilitare la conversazione con i consumatori, conferire contenuti al brand e attenersi a principi di autenticità e trasparenza.
Occorre comprendere che il digitale e l’interattività non sono più fenomeni ”di nicchia”, ma parte del set di strumenti ormai indispensabili per qualsiasi marketer.
E’ necessario poi ripensare il mix di comunicazione in modo integrato tra diverse aree e strumenti, dandogli un orizzonte realmente strategico.
Non ultimo, è fondamentale non fermarsi agli aspetti tecnologici: ciò che più conta è una crescita culturale di tutta l’azienda.
P.S. il dibattito si è sviluppato per esempio da Gianluca, Mizio, Valerio, Federica, e altri …
Bella serata, tante idee, esperienze e punti di vista a confronto.
Per un riassunto ragionato vedere qui, oppure qui.
Alla prossima.
Giusto in tempo per la chiacchierata di domani sera, ecco i signori di Forrester a darci qualche numero e un’osservazione davvero interessante:
“Interactive marketing spending in the US will more than triple over the next five years, reaching $61 billion by 2012, according to a new Forrester Research, Inc. report released today at the Forrester Consumer Forum 2007 in Chicago. Forrester expects that a maturing perspective about interactive channels coupled with technology advances will eventually lead to interactive technologies infusing all marketing efforts, and the interactive marketing organization will dissolve. “As firms continue to make customer centricity a higher priority, they will recognize that maintaining separate marketing teams to manage different sets of channels that all target the same customers makes no sense,” said Forrester Research Principal Analyst Shar VanBoskirk. “Over the next five years, we see interactive technologies gradually infiltrating all media — including such traditional paragons as television, billboards, and direct mail — and the concept of a separate interactive marketing organization will disappear.”
Eh sì, queste sono le cose che amo della blogosfera.
Un bel giorno faccio un commento da Mizioblog, poi su Doublebblog e poi decido di farne un post (quello qui sotto). E allora Minimarketing ne fa uno suo… e così nasce un bellissimo dibattito, ampio, ricco, variegato, una miniera incredibile di competenze, pareri, stimoli, riflessioni…
Se qualcuno non avesse ancora capito cos’è la blogosfera, questa mi sembra una buona occasione per cominciare a comprenderla.
Qui l’ultimo contributo di Mizioblog (ma ce ne sono in giro davvero parecchi …)
Lo “user generated content” è l’argomento del giorno su molti blog. Se ne discute, tanto per fare un esempio, qui, qui, e qui.
Ho la sensazione , sempre più forte, che andrebbero tenuti separati, in sede di analisi, i contenuti spontanei da quelli richiesti e/o stimolati direttamente dalla aziende nell’ambito delle proprie attività di marketing.
Vorrei subito chiarire che in questa distinzione non c’è nessuna classificazione “qualitativa”, nel senso che una categoria non è “migliore” o “più degna” dell’altra, ma mi pare comunque necessario distinguerle.
Estremizzando un po’ il discorso, chiamarli allo stesso modo sarebbe un po’ come mettere sullo stesso piano una pagina pubblicitaria e la recensione spontanea di un prodotto.
Ora, la mia “provocazione” (che ho esplicitato in alcuni commenti) ha suscitato qualche prima contro-analisi come quella di Mizioblog:
“Rispetto il tuo punto di vista, Enrico. Il tuo è un ragionamento da “puro”. Ma è la stessa problematica che si sta incontrando nel virale. I veri contenuti virali, quelli puri cioè, si diffondono spontanemamente, il più delle volte a prescindere anche dalla volontà dell’azienda, ma se del virale si vuole fare una professione bisogna trovare anche un modo per veicolare contenuti un po’ meno “viralli”. Mi piacerebbe sapere anche cosa ne pensano gli amici ninja a proposito, perché la campagna “mettici la faccia” è loro, ma anche perché sono anche degli esperti del virale.”
Il dibattito si fa interessante.
(@ Mizioblog: non è che per “puro” intendevi “bacchettone”, eh ?)
Immagine di James Marsh
Aggiornamento dai blog, i commenti di Mr. White (Doubleblog):
@enrico la proposta è corretta nei termini, ma credo non ci porti molto lontani… ovvero, quanti sono i contenuti veramente spontanei e prodotti liberamente dagli utenti oggi? E come fare a decifrarli veramente? solo nel caso in cui non siano affatto brandizzati o con qualche allusione di mktg, potremmo pensare che siano free.
La mia impressione è che lo stimolo da parte dei brand faccia parte del gioco. Potremmo discutere sulle regole d’ingaggio di queste ultime, ma è tema per un altro discorso…
AGGIONAMENTO DELL’11 OTTOBRE : la discussione si amplia qui,
Beh, che dire, ci sono aziende che sono una certezza, una fonte inesauribile di pessimi esempi di cultura aziendale.
Lo dicevo a Febbraio di quest’anno , e ne avevo scritto in precedenza ( qui e qui ad esempio). Ma al peggio non c’è mai fine. Scorrendo stamattina la newsletter di ZeusNews ecco che l’occhio mi cade su questa notizia.
In sostanza i nostri ineffabili ci spiegano che se io compro un CD o scarico legalmente un brano, quando ne faccio un MP3 per ascoltarlo sul mio lettore portatile o ne faccio una copia di backup, sto rubando il pane di bocca ai quei poveretti della Sony.
Sì, avete capito bene. Siete dei vergognosi ladri, dei disonesti. Ci avverte Jennifer Pariser, avvocato di Sony BMG:
“Quando un individuo fa una copia di una canzone per sé stesso, suppongo che possiamo dire che egli abbia rubato una canzone. Fare una copia di una canzone comprata è solo un modo carino per dire rubare solo una copia“.
Avete compreso ? Allora, se voi comprate regolarmente un CD , ne fate una copia di back up e li convertite in MP3 siete ladri due volte ! Secondo Sony, se foste delle personcine veramente a modo e corrette, dovreste correre in banca e fare subito un bonifico alla Sony BMG e ripagare le vostre canzoni tante volte quante le avete copiate.
Volevate fare i furbetti eh ? Pensavate di farla franca ? Vergogna vergogna vergogna ! Tentare di rapinare così un’azienda che fa così tanto per voi e per le vostre orecchie. Maledetti ingrati !
Meno male che in questi tempi bui c’è chi ci illumina ricordandoci cosa sono l’onestà e la correttezza, che ci fa capire cos’è un rapporto serio ed equilibrato tra un’azienda e i suoi clienti.
Grazie grazie, spremeteci, spremeteci, fino in fondo, che ci piace tanto.
In un interessante documento (che potete scaricare qui) scritto da John V. Pavlik e pubblicato anche dall’ Institute of Public Relations , viene analizzato l’impatto delle tecnologie sul modo di gestire le Relazioni Pubbliche. Una lettura che vi consiglio.
Vorrei solo soffermarmi brevemente su alcune considerazioni svolte da Pavlik e che trovo molto simili a quelle che ho avuto modo di esporre in altri post e commenti circa il significato dei cosiddetti “social media” , delle nuove tecnologie e le loro conseguenze sul piano dei cambiamenti culturali necessari per utilizzarli in modo compiuto ed efficace.
C’è una differenza sostanziale tra le tecnologie che semplicemente modificano o migliorano canali di comunicazione esistenti e quelle che invece portano una trasformazione profonda del modo di fare comunicazione, in modo sostanziale e non tecnologico-formale.
Mandare un comunicato via email anzichè per fax appartiene alla prima categoria, il blog del CEO (aperto ai commenti e aggiornato con continuità) appartiene alla seconda.
Aggiungerei anche che è possibile , come più volte ho sottolineato, aprire un corporate blog restando però contemporaneamente ancorati a una cultura della comunicazione arretrata e tutt’altro che conversazionale.
“The new media, Web 2.0, is disrupting everything,” ammonisce Peter Debreceny, Chair of the Institute for Public Relations Board of Trustees - ”Web 2.0 is not just adding to the communication mix. “It requires a completely new way of thinking.”
Una ricerca di van der Merwe, Pitt, Abratt, e Russell del 2005 sottolineava: “Stakeholders can now communicate with each other about an organization in a very public way. The public relations function will in most cases be the department dealing with these unplanned messages. As stakeholder strength increases, PR practitioners will have to develop strategies that deal with the rising power of different stakeholders on the Web.”
Gary Goldstein ha efficacemente sottolineato come Internet abbia introdotto tre elementi rivoluzionari nei processi di comunicazione: il primo è stato la pubblicazione in versione elettronico di news e contenuti disponibili su carta o trasmessi via TV e radio; il secondo è stato la disponibilità online di grandi risorse di informazione come i database di letteratura scientifica. Il terzo sono stati i blog, dove individui privati utilizzano le notizie come basi su cui sviluppare commenti, analisi e confronti di opinioni con i propri lettori.
Come sintetizza bene Pavlik “Web 1.0 meant better pathways to sending information to publics, editorially based, and right up our alley. Those in PR did a very good job in 1994-2004 in taking advantage of the opportunities the Web offered. Web 2.0 is different because it’s not just a technological enabler of existing methodologies.”
Francamente mi sembra che questi messaggi non siano giunti alla maggior parte delle aziende, che continuano a rivolgersi a strumenti etichettati (a volte a sproposito) web 2.0 senza una precisa percezione del loro significato.
Immagine di James Marsh