Monitoring vs. Mining (Conversations Blues)

Un bel post che ho trovato su  Media Guerilla offre l’opportunità di approfondire un po’ meglio le strategie cha un’azienda può adottare di fronte alle conversazioni che avvengono online e che coinvolgono l’azienda stessa e/o i suoi brand.  

Fondamentalmente esistono due possibili approcci, che vengono identificati come “mining” e “monitoring” .

Per mining si intende un lavoro di ricerca e raccolta eseguito su un ampio volume di conversazioni avvenute in un certo lasso di tempo, dalla cui analisi si cerca di estrarre dei “pattern” ovvero caratteristiche salienti, temi, atteggiamenti dominanti. Il mining quindi serve a seguire il quadro generale della reputazione dell’azienda nelle conversazioni, a identificare trend e spostamenti significativi del “sentiment” nel tempo, permettendo quindi di valutare quali possono essere le azioni che consentiranno, se necessario, di correggerle. Il suo focus quindi non è quello di captare in tempo reale problemi emergenti, ma opera in un’ottica di medio periodo.

E’ il monitoring la scelta di chi vuole essere “on the front line of online discussion — as it’s happening”. Qui, a differenza del mining, non ci si può affidare solo al search eseguito attraverso motori o strumenti automatici costruiti ad hoc, ma occorre anche un lavoro di osservazione quotidiana “umana” sui blog, gruppi di discussione e forum identificati in precedenza come più significativi in relazione all’azienda e ai suoi prodotti. Qui il problema principale risiede nella capacità di valutazione di quello che eventualmente accade. Personalmente credo che l’azienda (o un suo portavoce) debbano intervenire nelle conversazioni il meno possibile e solo in casi in cui il danno emergente sia grave.(spero sia superfluo ribadire che l’eventuale intervento va fatto in modo assolutamente aperto e trasparente…)  E’ ovvio che chi opera in questo modo deve soprattutto saper valutare con attenzione “l’incrocio”  tra la gravità delle opinioni espresse, ad esempio, nel post o nel commento, e il peso relativo in termini di credibilità e capacità di influenza del blog rispetto ai pubblici dell’azienda. 

Concordo con Mike Manuel sul fatto che non sono strategie  alternative, ma assolutamente complementari. L’importanza relativa dell’uno o dell’altro approccio deve essere valutato caso per caso. Quello che è importante è comprendere bene vantaggi e svantaggi di ciascuna e scegliere la strada più utile. 

 

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Quote of the day (Gun Blues)

“The fascination of shooting as a sport depends almost wholly on whether you are at the right or wrong end of the gun.”
P. G. Wodehouse
(1881-1975)

Dedicata ai simpatici marketer o pseudo tali che si dilettano  a sparare nel mucchio link, spam-commenti et similia. (Spacciandoli per viral objects e fingendo di essere profeti del social media marketing)

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Blog-reazione (Crisis&Blogs Blues)

Qualche giorno fa mi ero soffermato sull’esempio offerto dal blog di Fring come tipico caso in cui l’apertura di un blog (e la sua successiva continua e attenta gestione), costituisce un elemento imprescindibile del piano di marketing, un elemento cioè tutt’altro che secondario o opzionale.

Proseguirei il discorso ampliandolo ad un’altra funzione che il blog di prodotto può e deve svolgere, ovvero quella relativa al crisis management. 

Mi sono spesso occupato di crisis management, solitamente in termini di cultura generale e di preparazione “mentale” e organizzativa delle aziende a sostenere una crisi di comunicazione, e avevo anche accennato ai possibili ruoli del blog in questo contesto. 

Fatto salvo tutto questo, il blog si presenta come lo strumento “principe” in una visione in cui i tempi di risposta dell’azienda a fronte di una crisi sono una variabile importantissima nel determinare il successo o meno delle azioni intraprese. E non sto parlando solo dell’immediatezza, ovvero della velocità con cui è possibile reagire e offrire (nel caso siano necessari) indicazioni, link o addirittura (nel caso di prodotti software) direttamente patch o altri strumenti di intervento tecnico.

Uno dei vantaggi chiave è che attraverso il blog si comunica direttamente e specificatamente con la comunità degli utilizzatori del prodotto, ovvero proprio con quelli più attenti ed entusiasti, cioè (guarda guarda) proprio con gli “opinion leader”.  E il blog è il primo “luogo”in cui si riverseranno questi utilizzatori.

Naturalmente il blog , e questo è il rovescio della medaglia, “obbliga” l’azienda a essere estremamente veloce nella reazione. Avere costruito una comunità attenta e attiva attraverso il blog, e poi andare improvvisamente in black-out alla prima difficoltà aggiungerebbe danno al danno.  

 

I post di questo blog che contengono il termine “crisis”

 

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Sbagliando si impara. Forse… (Blogging Mistakes Blues)

“Le aziende impareranno dagli errori compiuti da Wal-Mart, Edelman, e Kryptonite, a accetteranno l’idea del marketing conversazionale come meccanismo economico ma produttivo per rimanere costantemente in contatto con il proprio mercato”

E’ singolare che l’analisi di un illustre analista come Stowe Boyd, del Cutter Consortium, inizi la sua disamina sullo stato attuale del rapporto tra social media e aziende partendo da alcuni tra i più clamorosi flop della storia recente della blogosfera. Mi pare una ulteriore ammissione del fatto che le aziende si sono buttate a pesce sui social media in modo massiccio, ma affrettato, superficiale, acritico e, spesso, decisamente rozzo.

Non so se condividere in pieno l’ottimisno di Boyd sull’immediato futuro di questo difficile rapporto: “Tutto questo diventerà una seconda natura (delle aziende) e tutto il settore delle PR e del marketing ne risulterà profondamente modificato; in meglio.”

Vedremo.

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Pausa

Questo blog si ferma per una decina di giorni. Va in montagna a respirare un po’ di aria buona. Fate i bravi mentre non ci sono, eh ?

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Blog ? Sì grazie ! (Blog Marketing Blues)

In mezzo a tanta confusione e discussioni circa cosa un’azienda può fare con un blog e cosa no, come farlo, chi deve farlo etc etc,  credo stia emergendo comunque con chiarezza il fatto che esitono categorie di prodotti che trovano oggi nel blog non una  ”aggiunta opzionale” al piano di marketing e comunicazione, un “di più”, che si fa se si può, se avanzano i soldi e così via, ma un elemento chiave, irrinunciabile, rispetto a cui altre attività, tipo pubblicità e ufficio stampa tradizionale, possono passare addirittura in secondo piano. Un buon esempio che mi è capitato recentemente sotto gli occhi è il blog di Fring.  Ora, molto brevemente, Fring è un software, un client per i cellulari che consente di fare chiamate VOIP usando i propri account di MSN Messenger, Skype e Google Talk. Non entro assolutemente nel merito del prodotto, non saprei giudicare se funziona e come funziona (anche se a naso il concetto mi sembra parecchio interessante…) Quello che mi preme sottolineare qui è che per un prodotto di questo genere il blog è lo strumento di marketing capace di offrire valore : in modo trasparente, semplice, community oriented, flessibile e multimediale offre un supporto diretto, aperto, veloce ai nuovi utilizzatori  e a chi, incuriosito, vuole capire meglio, fare domande, trovare dei tutorial video (ne sono stati prodotti alcuni in italiano). La coerenza tra prodotto, utilizzatore tipo e piattaforma di comunicazione mi sembra davvero eclatante. Niente fake blog, niente viral (o pseudo tali) demenziali. Solo quello che serve. Un blog.

   

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Sono una minoranza (Old Blogger Blues)

Riprendo (via Gaspar) questo grafico di Diario Aperto.

E all’improvviso mi sento una minoranza… insomma, più o meno, a occhio, su un campione di 4000 sono nel gruppo dei 180 più vecchi… (ma dove ho messo quella crema per le rughe…? )

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Voghera Advertising (Brain Blues)

L’ineffabile Casalinga di Voghera mi segnala oggi la nascita di LcdV, la sua nuova agenzia pubblicitaria.  Il modello, la “filosofia” (passatemi il termine)  con cui LcdV si propone al mercato è straordinariamemte affine a quella con qui abbiamo fondato Quorum PR. Lascio a Marco la parola:

“Dimenticatevi riunioni faraoniche, ragazze scollacciate e bottiglie d’acqua fresca a go-go. Qua si fa solo pubblicità. E la si fa sul serio.” (…)

“Semplicemente non abbiamo un ufficio, non abbiamo una segretaria, non abbiamo comode poltrone in pelle. Abbiamo le nostre teste. Che pensano come e più di quelle di molti altri. Tagliati tutti i costi superflui e non strettamente necessari siamo al minimo indispensabile. Niente tappetini rossi alla reception. Anzi, niente reception. Niente telefono, fax o fotocopiatrici. Solo un gruppo di giovani che sfrutta le più moderne tecnologie per creare campagne pubblicitarie.”

Noi un ufficietto ce l’abbiamo, e anche un paio di telefoni, ma il concetto “i fronzoli  stanno a zero, la consulenza a 1.000″ c’è tutto. Auguri, Marco.

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La notiziabilità del comunicato stampa (Meme Blues)

Con imperdonabile ritardo reagisco al meme lanciato dall’amico Carlo Odello su un tema sicuramente complesso come la notiziabilità del comunicato stampa, ovvero quali sono le condizioni che favoriscono la ripresa di un comunicato da parte dei media. Carlo esamina in profondità parecchi aspetti del tema e io mi limiterei ad alcune osservazioni a margine.

Innanzi tutto aggiungerei ai fattori chiave la competenza specifica del comunicatore nell’area in cui opera l’azienda. Capita di leggere comunicati che sono evidentemente scritti da qualcuno che ha sì ricevuto delle informazioni dall’azienda, ma che nel tentare di trasmetterle evidenzia lacune e ignoranze di vario genere che finiscono con l’inficiare l’efficacia del comunicato. Nell’area dell’information technology casi come questo sono all’ordine del giorno. Piccolo ma significativo esempio: mi è capitato di leggere in un comunicato di una grande azienda l’acronimo RFId (radio frequency identification) tradotto come “identificazione delle radio frequenze”. Ora, è evidente come l’estensore del comunicato non avesse assolutamente dimestichezza con la tecnologia in questione, visto che l’RFId si occupa dell’identificazione e del tracking degli oggetti tramite radio frequenza. Ora credo che un giornalista che si occupa di tecnologia si faccia una sana risatina in proposito e vi lascio immaginare dove vanno a finire credibilità e autorevolezza di azienda e agenzia, che qui sono legate una all’altra, non dimentichiamolo.

Estendendo il ragionamento ai new social media, le stesse considerazioni valgono, e a maggior ragione, per chi deve per esempio gestire un blog dedicato, ad esempio, ad un prodotto o una tecnologia. E non sto parlando di tecnologie complesse, ma anche consumer: pensate agli appassionati di videogiochi o di cellulari.

Vorrei poi aggiungere che oggi sicuramente la notiziabilità può essere sostenuta offrendo al giornalista un insieme di risorse che facilitino e arricchiscano il suo lavoro. Vorrei riprendere qui quanto dicevo qualche giorno fa nel corso di una chiacchierata su Marchetting: “…oggi inviare una notizia ad un giornalista vuol dire integrare testo, immagini, link a documenti di approfondimento, a wiki, podcast, blog, etc etc. insomma si deve prendere atto del ruolo che i new social media possono e devono svolgere. Quello che rimane però sempre centrale è il problema del contenuto, cioè del valore di quello che comunico: se io do al giornalista un contenuto o una informazione che rappresenta ( o può rappresentare) realmente un valore per chi leggerà quell’articolo, io ho reso un servizio all’azienda, l’ho reso al giornalista, l’ho reso al lettore. Lo strumento in fondo qui è secondario: comunicato, intervista, blog, newsletter, white paper, case history, un parere, un commento.”

E voi come la pensate ?

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Precisazioni linguistiche (Blog Blues)

(Post assertivo del Lunedì)

Secondo me:

- un blog non si “possiede”

- un blog non si “ha”

- un blog non si “tiene”

- di un blog non sei “titolare”

- un blog non si “fa”

- un blog non lo “gestisci”

- un blog non l’hai “creato”

 

Del tuo blog puoi solo dire che l’hai aperto.

E se non lo puoi dire, non è un blog.

Buona settimana a tutti.

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