Does Your Company Belong in the Blogosphere? (Harvard blues)

La domanda che ho scelto come titolo delle riflessioni di oggi non è stata provocatoriamente posta da un blog-guru, non è un post del “solito” Seth Godin.
Nossignori, la domanda di cui sopra viene posta alle aziende di tutto il mondo da Harvard.

Ebbene sì, è il titolo di un articolo pubblicato nientepocodimenochè sul sito della Harvard Business School e sulla Harvard Management Communication Letter. Sì, Harvard, proprio la mitica università americana, la sancta sanctorum delle business school, un simbolo.

E cosa ci racconta la gentile Katherine Heires, redattrice dell’articolo ?

“Bloggers have damaged a number of companies, but it’s time to think of the blog as your friend. Skillful blogging can boost your company’s credibility and help it connect with customers”

Capito ? Se ne sono accorti anche ad Harvard. Chissà se i duri d’orecchi intenderanno…

Ma vediamo rapidamente le considerazioni principali offerte da Katherine, che dopo aver fatto una breve panoramica sugli esempi più noti di corporate blogging (General Motors, Sun Microsystems, Boeing, Google, Hewlett-Packard, IBM, Microsoft, Red Hat, Edelman, Stonyfield Farm, Yahoo, etc etc), puntualizza quanto segue :

“…. blog is an incredibly effective yet low-cost way to:

* Influence the public “conversation” about your company: Make it easy for journalists to find the latest, most accurate information about new products or ventures. In the case of a crisis, a blog allows you to shape the conversation about it.

* Enhance brand visibility and credibility: Appear higher in search engine rankings, establish expertise in industry or subject area, and personalize one’s company by giving it a human voice.

* Achieve customer intimacy: Speak directly to consumers and have them come right back with suggestions or complaints—or kudos.”

Chiaro ?

Ma c’è un altro punto su cui mi preme soffermami. Ed è una raccomandazione che proviene da Debbie Weil, fondatrice di BlogWrite for CEOs.

Dopo aver chiarito che “If you’re not blogging, you’re missing out on the chance to contribute to the conversation taking place in the blogosphere” e ricordato che una ricerca Euro RSCG Magnet / Columbia University del 2005 ha mostrato che il 51% dei gionalisti legge regolarmente i blog, aggiunge:

“Don’t let the PR department write your blog. Bloggers will sniff it out, and when they do, you will lose all credibility”

Sono assolutamente d’accordo.

Il ruolo dell’agenzia di relazioni pubbliche (o del responsabile della comunicazione aziendale) deve essere “esterno”, deve aiutare a progettare il blog, chiarire i suoi scopi, educare chi dovrà scriverlo circa le dinamiche di gestione delle conversazioni, etc etc. Ma i blog totalmente affidati a un ghost-writer per me sono assimilabili ai fake-blog che ho già commentato più volte.

E ora un po’ di link per approfondire:

L’articolo su sito dell’Harvard Business School

BlogWrite for CEOs

Il blog di Jonathan Schwartz

Il blog di Randy Baseler, vice president marketing in Boeing

I blog di Stonyfield Farm, azienda che vende cibi “naturali”, una case history citata nell’articolo.

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Viene quasi da ridere… (Sony BMG blues part 3)

Se non lo avessi letto su Punto Informatico avrei pensato a qualche burlone…
Non c’è davvero fondo al “pozzo” di cui scrive PI. Notate che si è mosso l’ufficio del procuratore generale di New York, Eliot Spitzer. E da noi che succede ? Qualcuno ha notizie ?
A proposito, nessun commento dai signori di Forbes ? ” Web logs are the prized platform of an online lynch mob spouting liberty but spewing lies, libel and invective.” Davvero ?

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Ultimatum Marketing (last chance blues)

Sapete, il marketing mi piace per questo: c’è sempre qualcosa di nuovo, innovativo, stimolante.

E noi italiani, se c’è da stupire, non siamo secondi a nessuno.
E dalle parti di Alba, in Piemonte, ci sono menti vulcaniche.
Mi spiego.
Sono stato per anni un cliente di Giordano, produttore e distributore piemontese di vini. Non compravo molto, ma ogni tanto il mio ordine arrivava. Le scelte più recenti compiute dal signor Giordano però non mi hanno convinto (non è questa la sede per approfondire le ragioni) e non compro più.

E il Signor Giordano se ne è accorto.

E negli utlimi mesi si sono moltiplicate le telefonate serali con cui cortesi signorine dagli accenti molto variabili (l’ultima secondo me aveva una cadenza più di Bucarest che di Valle Talloria d’Alba…) mi comunicavano accorate l’angoscia del signor Giordano per la mia “scomparsa” come cliente. Ho provato a spiegare che, per una serie di motivi, acquisto il vino con modalità diverse, più consone alle mie esigenze a ai miei gusti. Hanno insisitito, ma alla fine sembrava avessero capito che era fiato sprecato.

E invece…

Mi arriva una lettera, non dal marketing o dalla direzione commerciale di Giordano, ma dall’amministrazione finanziaria.
Oibò, ho dimenticato di pagare le ultime bottiglie di Barbaresco ? Dove saranno le ricevute ?

Niente di tutto questo. Il Signor Paolo Degiorgis, mi scrive perchè il signor Giordano gli ha chiesto di darmi (cito testualmente) “… l’ultima possibilà di assicurarsi alcuni de migliori vini, ect ect…”

Avete capito bene : mi viene offerta un’ultima chance. Altrimenti “…. mio malgrado dovrò avviare le procedure che prevedono la cancellazione del Suo nominativo dalla lista dei Clienti Giordano.” “…questa è la sua ultima possibilità per continuare ad essere Cliente Giordano”

E sia. Mi assumo le mie responsabilità. Che le procedure siano avviate: affronterò il mio destino di “cancellato” a testa alta.

Se non avrete mie notizie, sapete cosa mi è successo.

AGGIORNAMENTO 9 gennaio 2006: Degiorgis scherzava, ho ricevuto l’ennesima telefonata serale dalla solita malcapitata del call center rumeno che mi chiama da parte del Signor Giordano e che stavolta si è beccata il mio sfogo con minacce di denunciarli se non la piantano di telefonarmi a casa… era troppo bello per essere vero…

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Dove siete ?

Se proprio non avete niente di meglio da fare (ma proprio niente) e volete dedicarmi unminuto, QUI potete farmi vedere dove siete.

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La tempesta nel bicchiere di latte (Nestlè blues)

Mi sa che il signor Peter Brabeck, primo dirigente e presidente di Nestlé, ha seguito un pregevole master in marketing communication e relazioni pubbliche assieme al suo collega Thomas Hesse di Sony BMG. Si legge nelle loro dichiarazioni la stessa elevata capacità di identificare i messaggi chiave in situazione di crisis e lo stesso, profondo rispetto per i propri clienti. Una bella coppia, non c’è che dire.

Breve riassunto (tratto da Reuters) : La polizia italiana ha sequestrato ieri circa 30 milioni di litri di latte per bebé, prodotto dalla Nestlé, dopo che gli esami avevano mostrato la contaminazione con tracce di inchiostro della confezione. Nestlé ha detto che la sostanza chimica non è pericolosa, ma ha annunciato che stava ritirando il latte per bimbi in quattro paesi europei, Italia, Francia, Spagna e Portogallo, a causa del problema legato ai cartoni di Tetra Pak. In Italia i prodotti sequestrati sono il Nidina 1, il Nidina 2, Mio e Mio Cereali. I nuovi lotti, riconoscibili dalla scadenza a ottobre 2006 e posteriore sono già in distribuzione, ha detto Nestlé, assicurando che sono sicure. In specifico, come ho letto su Sanihelp.it, si tratta di tracce di Isopropylla Thioxanthone, un polimero utilizzato sulle confezioni come fissatore di inchiostro. La multinazionale ha subito provveduto a ritirare dal mercato europeo le partite di latte appartenenti ai lotti incriminati, quelli con scadenza settembre 2006, per un totale di di 30 milioni di litri sottratti alla vendita. Non si conoscono ancora gli effetti sulla salute di questa sostanza, ma le precauzioni per l’uso parlano chiaro. A chi lo tratta infatti si consiglia di ventilare bene il luogo di lavoro e di indossare guanti e occhiali.

E cosa ha dichiarato il nostro Brabeck ? Che il ritiro del latte per bambini in Europa rappresenta per Nestlè “un costo assolutamente trascurabile” ed è “una tempesta in un bicchiere d’acqua”. Capito ? Non ha detto qualcosa tipo :”Siamo certi che non vi è alcun pericolo per la salute dei bambini, ma proprio perchè la loro salute è al centro della nostra attenzione stiamo ritirando a scopo precauzionale tutte le confezioni contaminate” o magari anche ” Siamo profondamente dispiaciuti per questo episodio e stiamo già attivando tutti i controlli supplementari e le procedure per evitare che episodi del genere si possano verificare ancora. Attiveremo immediatamente un programma per la sostitizione gratuita delle confezioni coinvolte acquistate dalle nostre clienti”

Ma no, il concetto chiave è che gli azionisti possono stare tranquilli, il costo del ritiro non avrà effetti sui profitti. E poi quante storie per un po’ di fissatore nel latte, è tutta salute per i bambini, credetemi…

Impagabili.

Vedremo che dirà Tetra Pak…

Aggiornamento 25 Novembre: mi sembra più accorta la risposta della Tetrapak. Eccola qui.

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Magliette e PR (Sony fashion blues)

Questa T-shirt è apparsa sul blog di F-Secure, una delle prime aziende a denunciare e descrivere il famigerato rootkit dei CD Sony BMG.
Una iniziativa simpatica e di grande effetto. Complimenti al marketing di F-Secure e congratulazioni a Thomas Hesse, forse uno dei primi vice-president di una multinazionale a vedere una propria frase immortalata su una T-shirt.
Diventerà un vero oggetto di culto tra i consumatori di contenuti digitali.

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Ah, il web marketing… (legal marketing blues)

Vi rimando brevemente alle disavventure di Giuseppe Mayer con la Ediprint, una storia davvero edificante e istruttiva…. Ne ha scritto anche Maurizio Goetz, Kurai , Scopriamo l’acqua calda e probabilmente molti e molti altri…

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La lezione di Sony servirà ? (Marketing and PR people blues)

Lo so, lo so, forse ne avete letto talmente tanto che non ne potete più. Ne ho già parlato anch’io, più volte.
Ma una riflessione più generale su questa storia occorre davvero farla.

Perchè se Sony BMG ha bloccato le vendite di 50 titoli musicali e sta offrendo copie senza la dannata protezione a chi riporta nei negozi le copie “infette”, lo si deve ( lo ripeto ma non guasta ) ad un post su un singolo blog.

Provate a immaginare una cosa del genere solo 5 anni fa. Vi sembra possibile ?

E’ finita un’era, e quella nuova pare trovi totalmente impreparate le aziende, di qualsiasi dimensione siano e in qualsiasi mercato operino.

In un lungo articolo dedicato alla faccenda da Information Week, Alan Scott, responsabile marketing di Factiva, ha in sostanza sottolineato come il vecchio modo di operare, ignorando i problemi denunciati dai consumatori, e illudendosi che le denunce rimangano “confinate” nella blogosfera, è ormai nettamente superato dalla realtà. Non può più funzionare.

“Ci sono nuove regole con cui bisogna imparare a convivere” aggiunge Scott. “Che siano blogger , user group o NGO, è sempre una questione di onestà e trasparenza. Questa storia è l’ultimo drammatico esempio di una major company che sta imparando a sue spese che i vecchi tool e i vecchi modelli non funzionano più”

Responsabili delle relazioni pubbliche, direttori marketing di tutto il mondo: correte verso i bidoni della spazzatura dove avete buttato, ( probabilmente accompagnato da un ampio sorriso di sufficienza) la copia del Cluetrain Manifesto che avevate voluto vedere per pura curiosità. Recuperatelo, perchè i vostri piani di marketing e di comunicazione si dovranno confrontare con quegli enunciati. Il mondo dei consumatori che lì viene descritto non è un bizzarro esercizio di fantasia.
E’ sotto i vostri occhi.

“Markets are conversations” e tapparsi le orecchie non è esattamente una strategia vincente.

E io ve l’avevo detto……

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Sony BMG blues (nel senso di triste, molto triste…)

Per farsi un’idea della sequenza di disastri di comunicazione e di sostanza compiuti dalla Sony BMG, potete trovare un bel riassunto dei vari passi della faccenda sul sito del Washington Post.

E già, vale la pena di rifletterci un momento. Un singolo post, su un blog (tra i milioni online) è diventato in pochi giorni una crisi di dimensioni planetarie che si è abbattuta con la forza di un uragano sulla “povera” Sony BMG. Che, forse, la blogosfera appena sapeva che esistesse, da qualche parte.. diari online di ragazzini che non hanno niente di meglio da fare….

Ma gli uomini e le donne della comunicazione di Sony, dove sono ? Forse stanno inseguendo gli ingegneri e gli avvocati che di questa storia sono probabilmente i responsabili.

Buona caccia ragazzi.

P.S. : date un’occhiata a Sory seems to be the hardest word . Impagabile.

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Ma guarda guarda… (Relazioni Pubbliche e ROI)

Le Relazioni Pubbliche possono rendere più della pubblicità ? Eh, quanti hanno storto il naso davanti a questa osservazione, quanti sorrisini di compatimento… “Sì sì, le relazioni pubbliche forse aiutano, ma per vendere, la pubblicità è un’altra cosa dài…”

Per carità, non facciamo confusione: le Relazioni Pubbliche non possono sostituire la pubblicità, ma la loro efficacia riguardo lo sviluppo del business aziendale è largamente misconosciuta e drammaticamente sottovalutata.

E chi ha voluto farci una pensata? Procter & Gamble, e cioè uno dei maggiori spender pubblicitari globali.

Ha fatto una bella indagine, che ha chiamato PREvaluate, 18 mesi di monitoraggio, utilizzando un tool di analisi che prende in considerazione in modo dettagliato le informazioni sui costi , obbiettivi, audience, mercati geografici, e le sinergie con gli altri elementi del marketing mix . (ah, già stupitevi: Procter & Gamble considera le PR un elemento del marketing mix, pensa te che originali…)

E a quale conclusione è arrivata la suddetta indagine ?

Sono arrivati a concludere che le Relazioni Pubbliche hanno offerto un ritorno sull’investimento decisamente superiore agli altri strumenti del marketing mix.

Il responsabile delle relazioni esterne di P&G, Hans Bender, ha auspicato che ” it would make people think more intently about the use of PR in the marketing mix.”

Me lo auspico anch’io…

Pensateci, pensateci responsabili marketing…

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