Se non sei capace, dillo. (Bad PR Blues)

Questo splendido post di Lorenzo Biscontin fornisce l’ennesimo spunto per ripetere concetti già espressi più e più volte su questo blog.

A quanto scritto da Lorenzo e nei commenti mi permetto di aggiungere un paio di considerazioni.

Le operazioni come quella descritta da Lorenzo non sono solo criticabili sotto il profilo etico. Che si tratti di puro inganno è talmente chiaro che non  c’è bisogno di approfondire.

Ma c’è di più. Il ricorrere a questi stratagemmi denuncia il fatto che il brand si dichiara incapace di comunicare in prima persona. 

Incapace di costruire e offrire direttamente contenuti di valore.

Ammette in sostanza di non essere credibile.

Ammette di avere una reputazione così bassa da dover fare in modo che qualcun’altro più credibile parli del brand e dei prodotti  in cambio di denaro.

Ma c’è un altro aspetto che mi preme sottolineare.

Il sedicente consulente di “Social Media Marketing” (che con un notevole guizzo creativo definisce pomposamente “content seeding” una marchetta qualsiasi, per quanto marchetta 2.0) contribuisce alla pessima reputazione del settore dei comunicatori e delle agenzie di PR in particolare, fatto di cui fanno le spese tutti i professionisti che lavorano al servizio dei brand in ben altro modo. 

Il grafico qui riprodotto mostra la situazione sull’eticità percepita (quindi credibilità) di alcuni soggetti della comunicazione, tratta da questo interessante post dell’amico Giornalaio.

Grazie.

P.S. sul tema puoi anche leggere questi post, segnalati da Lorenzo nel suo.:

http://giornalaio.wordpress.com/2011/10/03/offerte-risposte/

http://www.minimarketing.it/2011/09/la-favola-delle-pr-online.html

http://www.olmr.it/2011/10/non-ti-riconosco-piu-blogger/

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Letture del Lunedì

Riscopro (grazie a un twit…) questo post molto interessante su come un’azienda dovrebbe reagire a un twit negativo . 

Credo che in generale valgano regole molto simili anche per quanto concerne la presenza su Facebook .

Sul vizio di alcune aziende di intrufolarsi a viva forza ovunque e comunque si parli di loro concordo con Davide:  “Valuta attentamente se è il caso di palesarti con l’account ufficiale andando a intrufolarvi in altrui conversazioni (per quanto ti tirino in ballo!)”

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Sospetto del Mercoledì

Ho la netta sensazione che le aziende che si preoccupano di monitorare e individuare le conversazioni “negative” in corso, lo facciano non per correggere gli eventuali comportamenti errati che le hanno generate, ma per poter intervenire più o meno direttamente e correggere le conversazioni stesse.

O no ?

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Letture al volo.

“….I am not trying to paint with too broad a brush; I do not mean to suggest that no one in advertising respects or considers a relationship-centric approach. Nor do I mean to imply that PR folks don’t like or “get” advertising. (Nor have I even considered the difficulty of convincing “Old School” clients to adopt the agency’s preferred approaches!)

What I am suggesting to those clients and agencies gravitating to the convergence strategy is that Social Media does make such a strategy more possible than ever before … but it also impels (what feels like) a bizarre and uncomfortable mindset on practitioners accustomed to pure-play execution.  Before you start chatting up an integrated approach, it seems to me that you need to prove that the model works within your own four walls.  Can the adherents to each discipline put “alignment” above “ego,” and let the chips fall where they may?”

Articolo originale: The bizarre and uncomfortable future of advertising public relations convergence

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Pubblicità 1.0 (Bad Advertising Blues)

Questa notizia lascia parecchio perplessi. reebok

Alla fine certe “forzature” non pagano mai.

Non sono un pubblicitario, ma sono convinto che se sei capace di emozionare, non hai bisogno di giocare con i numeri…

A parte qualsiasi considerazione di ordine etico, penso che un grande brand non dovrebbe mai correre questi rischi, ficcandosi da soli in brutte figure dalle quali è molto difficile uscire completamente indenni.

Aggiornamenti:

Un commento interessante: http://www.prnewsonline.com/watercooler/Reeboks-Ready-for-a-New-Brand-Story_15401.html

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Il social marketing come una vanga (?) (The Old 2.0 Blues)

Il post di Dario Salvelli sul concorso fotografico Leica 24×36  (lo trovate qui) ripropone un tema  a me molto caro, ovvero la differenza tra 2.0 “sostanziale” e 2.0 “tecnico”.

Non entro nel merito del caso specifico, e mi limito ad alcune osservazioni.

Il fatto di utilizzare come piattaforme di marketing social network e affini non significa che ci troviamo di fronte a una “market conversation” (lo spirito del vecchio caro Cluetrain Manifesto torna sempre in ballo…).

marcisovsky

L’amara (e banale)  verità è che si possono fare cose molto vecchie utilizzando tool molto nuovi.

Facebook e Twitter possono pertanto essere semplicemente una facciata dietro cui in realtà si scoprono logiche di marketing e comunicazione vecchie e logore. 

Varrebbe la pena di ricordare che qualcuno prima o poi se ne accorge, e la ricaduta non può certo essere positiva.

Facendo una sorta di parallelo per il mondo delle PR e di ciò che si comunica verso i media, tutto questo significa, ad esempio, che forse un giornalista (estremìzzando un po’ il concetto)  preferirebbe ricevere un fax con dei contenuti rilevanti che un mare di stupidaggini sotto forma di “social media press release”. O no ?…..

(la splendida  foto è di Martin Marcinovsky)

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Comunicato stampa: ci sono ancora.

Milano, 27 settembre 2011 – Enrico Bianchessi, leader nell’area delle sparizioni dalla blogosfera e collocato da Gartner tra i “visionaries”nel Magic Quadrant delle “Silent Blog Solutions”, annuncia di essere ancora presente e operante.

“Sono molto lieto di essere ricomparso” – ha dichiarato lo stesso Bianchessi – “sono certo che i miei lettori ne trarranno grandi benefici”.

Brian Solis e Seth Godin hanno già preso posizione sull’avvenimento definendolo l’evento chiave per il mondo delle PR e della Marketing Communication  per l’ultimo quadrimestre del 2011.

P.S. non sapevo come riattaccare la spina a questo blog, poi mi sono detto: ci vuole un bel comunicato stampa.

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Pensierino del Martedì (Tuesday Morning Blues)

Sarebbe meglio che le aziende invece di preoccuparsi sempre ed esclusivamente delblogging_md “come” (Facebook ? Twitter ? Blog ? Sito ? Campagna email ? Guerrilla ? ) dedicassero qualche minuto al “cosa”.

Cosa sto dicendo ? C’è un messaggio chiaro ? Ho una strategia ? Noi siamo dove ci sono i nostri stakeholder ?

Ecco, così magari si evitano sprechi di tempo e soprattutto di denaro.

Questo grosso equivoco, confondere i contenuti innovativi coi contenitori innovativi, non cessa di essere largamente presente.

Lancerei un nuovo slogan/provocazione per la comunicazione aziendale : “Meglio un fax intelligente che un blog inconcludente”

Buona giornata.

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Tre in un colpo (Another PR Fiasco Blues)

Questa storia di Facebook che ingaggia Burson Marsteller per rovinare la reputazione di Google è triste sotto molti punti di vista.

bizarre_b_bParto dal fondo: a rimetterci alla fine è anche la già poco solida reputazione delle agenzie di PR, il cui ruolo verrà ancora una volta visto come “torbido” e fondamentalmente disonesto. Grazie, ne sentivamo proprio il bisogno: altro che competenze e ruolo consulenziale …

Riassumo brevemente i fatti (da The Daily Beast) :

“… For the past few days, a mystery has been unfolding in Silicon Valley. Somebody, it seems, hired Burson-Marsteller, a top public-relations firm, to pitch anti-Google stories to newspapers, urging them to investigate claims that Google was invading people’s privacy. Burson even offered to help an influential blogger write a Google-bashing op-ed, which it promised it could place in outlets like The Washington Post, Politico, and The Huffington Post.

The plot backfired when the blogger turned down Burson’s offer and posted the emails that Burson had sent him. It got worse when USA Today broke a story accusing Burson of spreading a “whisper campaign” about Google “on behalf of an unnamed client.” (…) Confronted with evidence, a Facebook spokesman last night confirmed that Facebook hired Burson…”

Non male eh ?

Qualche riflessione a caldo.

1. Le agenzie di PR dovrebbero capire (sapere) che si può lavorare efficacemente solo “in positivo” costruendo e rafforzando la reputazione dei propri clienti, in modo competente e0uro_caza012 trasparente. Il resto porta invariabilmente dove abbiamo visto qui e in molte altre occasioni.

2. Ancora una volta l’agenzia di PR si è mossa ignorando totalmente le caratteristiche e la cultura dei blogger, ( e probabilmente di quel blogger in particolare) muovendosi come un elefante in un negozio di porcellane. 

3. Quindi alla fine le reputazioni danneggiate sono 3: quella di Facebook, quella dell’agenzia e quella delle PR in generale.

Many thanks.

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Perché, perché… ma soprattutto: perché ? (Internal Language Blues)

Tra le cose più  frustranti che capitano a chi deve gestire come consulente la comunicazione di una azienda, c’è il dover fronteggiare uno dei vizi capitali dei comunicatori “interni” , e cioè pretendere di lanciare messaggi  erso l’esterno dell’azienda utilizzando un linguaggio comprensibile solo  per gli addetti ai lavori più “verticali” o addirittura un linguaggio totalmente “proprietario”.

Questo modo di comunicare (o meglio di non comunicare)  esclude di fatto dalla comprensione di un testo il 95% di coloro che avranno modo di leggerlo, e  (fatto non trascurabile) obbligherà comunque il giornalista ad un lavoro di traduzione per i suoi lettori; il che significa che il comunicato finirà quasi sicuramente nel cestino…

Il vizio in oggetto si esprime attraverso vari sintomi: per cominciare l’uso indiscriminato di acronimi, di cui si abusa e per di più ci si dimentica di esplicitarli. ( ho visto di recente unattack comunicato dove ce n’erano otto in quattro righe di testo…)

Poi ci sono gli “inglesismi” ad ogni costo, che per un profano possono non essere assolutamente facili da contestualizzare.

E infine ci sono quelle espressioni “gergali”, a volte anche sgrammaticate o improprie, che sono  di uso comune e quindi comprensibili solo per una ristretta cerchia di addetti ai lavori. (o forse solo al terzo piano della sede aziendale…)

Ora, l’uso di in linguaggio tecnicamente appropriato è doveroso; lungi da me il voler semplificare o banalizzare a tutti costi. 

Ma perché escludere volontariamente dalla comunicazione anche chi, magari , potrebbe essere interessato al prodotto o al servizio di cui si parla, ma non riesce a capire ciò che gli viene comunicato ? Perché ? Mah…

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