Riceviamo e volentieri pubblichiamo… (Blogger Pride Blues)

Non posso fare a meno di un breve momento di auto-celebrazione, e vi segnalo che il qui presente blog è stato recensito sul sito della FERPI a questo indirizzo.

Grazie a  Francesca per la segnalazione.

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Le basi ragazzi, le basi…(Back to Basics Blues)

Invito i responsabili della comunicazione online della aziende di ogni ordine, grado, mercato e budget, a rileggere con attenzione questo post , intitolato “10 things I wish I had known about web designing 10 years ago”.

Non si tratta di niente di eccezionale (in teoria), ma di semplici regole e consigli di base su come si fa un sito web. Il vostro sito è in linea ? No ? Magari ci sono motivi particolari, ma fate due chiacchiere con il vostro webmaster e indagate …

Non entro nei dettagli, non sono un tecnico, ma una cosa è certa: il web è  tutt’oggi  affollato da siti che non rispondono nemmeno ai criteri di funzionalità di base: non sono navigabili e ricercabili con chiarezza, sono evidentemente stati disegnati per essere graficamente perfetti e funzionalil con un solo browser, (indovinate quale…)  richiedono l’installazione di plug-in non strandard di mercato, a volte non sono neppure leggibili, etc etc.

Se poi passiamo ad argomenti come gli indirizzi email cui chiedere aiuto o informazioni, credo sia capitato a tutti di attendere inutilmente per giorni e giorni senza ottenere un cenno di risposta, oppure ricevere una risposta automatica e poi…. nulla.

Insomma, prima del blog, prima della vostra pagina su Facebook, prima di assoldare uno specialilsta 2.0 per fargli fare un po’ di infiltration, vedete se siete veramente a posto con l’essenziale.

Buon weekend a tutti.

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Massima veloce 2 (Communication Wisdom Blues 2)

Parlare senza interruzione non vuole necessariamente dire comunicare. 

(pare l’abbia detto Jim Carrey, gli diamo una laurea in PR “ad honorem” ?)

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Massima veloce del giorno per Comunicatori Impegnati (Communication Wisdom Blues)

Fai in modo che il tuo discorso sia migliore del tuo silenzio.

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Social Media, ma non solo… (Good Integration Blues)

“The benefits of integrating social media with other marketing tactics far exceed the benefits of utilizing social media alone.” Questa interessante citazione si trova in un bel post di Adam Cohen dal provocatorio titolo “Social media does not exist” .

Nel post si fa riferimento ad un studio pubblicato da Marketing Sherpa

Sostiene lo studio: “Physically integrating social media with other online marketing tactics is, in most cases, relatively simple. For example, incorporating links in a blog post with content on a website, or adding social sharing buttons to an email campaign will integrate the tactics.

Integration also enables marketers to track results that justify the business value of social marketing. For example, B2B marketers can identify and track the movement of prospects through the pipeline from initial social media engagement to lead capture and qualification, to sales conversion.”

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Infiltration ? No grazie… (Unwanted Guest Blues)

Vorrei ancora una volta lanciare una provocazione sull’ uso distorto o improprio che, a mio modesto avviso, molte aziende continuano a fare delle opportunità di comunicazione offerte oggi dal mitico (e forse in realtà ancora inesplorato) Web 2.0.

Oggi vorrei concentrarmi su quella attività (spesso da molti richiesta) definita “infiltration”. Che in soldoni vuol dire trovare una conversazione, un forum, o un post dove in qualche modo vi è uThe MH-53J's mission is to perform low-level, long-range, undetected penetration into denied areas, day or night, in adverse weather, for infiltration, exfiltration and resupply of special operations forces. na possibile connessione con i prodotti e servizi dell’azienda e “intrufolarsi” (in modo spesso non trasparente) con cose tipo “a questo proposito ho visto…” oppure “ragazzi ho trovato un cosa fantastica a questo link… !”

I più attenti tra voi avranno notato l’utilizzo del termine “intrufolarsi”, sicuramente meno appealing e trendy di “infiltration”.

Come potete immaginare non si tratta di un lapsus, bensì del succo del discorso.

La mia tesi è molto semplice. Leggo dal dizionario Garzanti la definizione di infiltrarsi: “penetrare furtivamente; insinuarsi: infiltrarsi tra i nemici; lo scontento s’era infiltrato tra la popolazione.”

Ecco, fare “infiltration” significa appunto andare dove in realtà non dovremmo, significa (nella migliore delle ipotesi)  voler a tutti i costi imporre la presenza del nostro prodotto o brand, volente o nolente il sito o il blog ospitante.

Nella peggiore della ipotesi significa inserire commenti positivi o raccomandazioni artefatte.

Cosa ci sia di “conversazionale” e trasparente, ovvero realmente 2.0, in tutto ciò qualcuno me lo dovrebbe cortesemente spiegare.

Aggiungo che questo genere di interventi sono molto spesso facilmente individuabili, e quindi  immediatamente percepiti in modo negativo, attirando sul brand (giustamente) sentimenti di fastidio e di diffidenza.

Ne vale la pena ?

Attendo infiltration …

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Chiariamoci… (Unuseful Social Discussions Blues)

Grazie a una segnalazione colta al volo da un Twitt di Josh Beronff, ho letto con interesse un provocatorio articolo scritto da Amber Naslund, di cui vi propongo (e sintetizzo) alcune riflessioni.

Amber è stanca ( e non ha tutti i torti ) di ascoltare e leggere di alcuni argomenti su cui sarebbe meglio, come dire,  mettere una bella pietra e passare oltre. 

Vediamoli rapidamente insieme.

social-media-marketing 1. Getting More Followers and Fans

A meno che si sappia con chiarezza cosa sono disposti a fare per noi, come riusciremo a smuoverli, che cosa dobbiamo offrire in cambio per avere la loro attenzione oggi e domani, si tratta di una questione inutile. Le persone non sono biglie, e non si vincono premi speciali collezionando “staring eyeballs that are waiting for you to do something significant”. L’attenzione vale solo se spinge le persone ad agire e investire il loro tempo e le loro energie.

2. Misdefined ROI

Su questo blog se ne è anche già parlato . Se sapete ciò che rappresenta il ROI, dice Amber,  potete immaginare come “connect the dots between your social media endeavors and your finances, your brand, or a combination of the two

Ma Amber invita anche a piantarla di “bastardizzare”  il termine ROI e utilizzare interpretazioni criptiche e fumose pur di non ammettere che non siete realmente in grado di calcolarlo. Ci sono sicuramente altri modi per valutare i risultati della vostra attività.

3. Entitlement to Free Stuff

Le persone sul web che posseggono conoscenze, esperienze  e informazioni non sono obbligate a fornirvene. Alcuni metteranno alcuni di questi contenuti a disposizione di tutti, perché ritengono che ci sia un valore (direi anche un valore “di ritorno” ) nel contribuire al tutto. Ma ricordatevi, sottolinea Amber,  non è un atto dovuto: questi contenuti possono essere ritirati o si possono cambiare le regole di accesso ad essi in qualsiasi momento. Potete pagare o meno per avere accesso a ciò che ritenete abbia un valore, ma piantiamola con la convinzione “naive” che danaro e social media non possono o non devono andare d’accordo, e che i creatori di contenuti siano degli immorali se chiedono un controvalore per le loro conoscenze.

4. Joining the Conversation

Questa era sicuramente un proponimento di valore assoluto all’inizio di tutto ciò, ma il concetto si è così diluito e diversificato nelle diverse esperienze che oggi il suo significato è di fatto sminuito. “Join which conversation? For what purpose? With whom? And what then?”  Cominciamo a interrogarci su quello che Amber chiama “the INTENT behind the conversation” e sul valore dell’essere presenti e coinvolti con le persone giuste che danno un peso e un significato a ciò che hai da dire e non semplicemente “anyone with a frontal lobe and an internet connection”

5. What’s The Next Whatever

“We have all of the “new” we could possibly want, but we’re distinctly lacking intriple execution with what we have.” Mi pare un’affermazione condivisibile e non solo in riferimento al mondo social media. Personalmente incontro ancora oggi siti web che sembrano fatti vent’anni fa, come se la user experience fosse un concetto ancora non espresso e sviluppato; però magari alla fan page su FB non hanno rinunciato…  Tornando ad Amber, la nostra ci esorta a pensare meno alla futuribile e sconosciuta next big thing e “get busy wrangling the things you already have at your disposal to do something worthwhile” Sottoscrivo pienamente.   

6. Content is King.

E qui Amber invita a una profonda riflessione su un concetto  solo apparentemente trito e scontato: Creare contenuti non è tutto: il valore è esattamente “zero” fino a che questo contenuto non viene trovato, consumato, e poi utilizzato per fare qualcosa. “It needs to drive people to action – sharing, buying, building, interacting.”  A questo proposito vi citerei un  interessante aforisma che ho raccolto al volo (non so nemmeno più dove) : “If Content is King, then CONTEXT is Queen”

7. The Quest for Universal Constants

Amber richiama qui la nostra attenzione su quanto sia inutile cercare regole auree e universali per la gestione dei social media (di quante  persone ho bisogno ? per quante ore al giorno ?  E’ necessaria la pagina su Facebook o un gruppo su Linkedin ?) La risposta secondo Amber è semplice: “You still have to build your own sales strategy, HR plan, CRM approach irrespective of what’s been done before, no matter how long those concepts have been around. If you’re spending all your time building your cloned safety net based on other people’s situations, you’re already behind the game, and not focused on what your business needs”

8. Social Media Experts and Proverbial Snake Oil

Un bell’argomento… Ma Amber ha le idee chiare: se siete un’azienda “do your due diligence the way you would with any other adviser you hire. Do some research. Ask hard questions about results, accountability, and strategies that can survive a shift in technology.”

9. Social Media Is Hype, Stale, Old, Whatever.

I consigli finali: se pensate che i social media abbiano un reale potenziale, ma che si potrebbe fare meglio e di più, “..offer something constructive of your own. Do it better. If it has practical uses but there are misconceptions, correct them through illustrating the alternatives, teaching, doing.”

Alla fine pensate sia solo hype ? “ That’s fine. Then close your Twitter account, get off Facebook, stop blogging, and go do something else. It’s all optional. We’ll be fine without you.”

Alla prossima.

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Twitter ? Meglio abbondare… (Twitter Exaggeration Blues)

Un interessante testimonianza su come NON si utilizza Twitter nelle relazioni pubbliche… (via PRNewser)

La domanda è: come è possibile pensare / credere che ri-twittare qualcosa ogni minuto possa in qualsiasi modo essere costruttivo e funzionale alla comunicazione ?

Forse questo è un esempio particolarmente “estremo” e becero, ma di utilizzi esagerati o comunque “fuori contesto” dei social media se ne vedono tanti.

E fa specie vedere cha a volte questi capitomboli sono compiuti da aziende che dovrebbero poter contare su consulenti “2.0″ di un certo livello…

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Riflessioni brevi del Lunedì…

Mi rendo conto di aver trascurato a lungo (molto a lungo) il mio amato blog (il mio terzo figlio… vergogna !)

Segnalo comunque al volo queste varie ed eventuali:

1. Una edificante storia 2.0 che ha per protagonista un’ azienda 1.0

2. Ho trovato su un comunicato stampa di un’azienda che si proclama 2.0 sino al midollo, un commento (la famigerata quotation del presidente) così banale e così smodatamente corporate, che definirlo 1.0 sarebbe forse già troppo…   mah.

3. Paul Dunay segnala queste interessanti riflessioni sulla privacy nell’era del mobile marketing (the next big thing… ?) scritte peraltro da un’azienda americana che di queste attività ha fatto il suo business.

 

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Le parole che non ti ho detto (Toyota Crisis Blues)

Le disavventure vissute da Toyota in relazione all’ormai celeberrimo acceleratore che si blocca, hanno scatenato un dibattito globale su cosa si deve e non si deve fare quando ci si trova di fronte a una situazione di crisi.
Toyota Motor Italia Il “crisis management” non è certo una disciplina nuova, ma a quanto sembra non se ne discute mai abbastanza, ed è sorprendente constatare come aziende che a siffatti scenari dovrebbero essere preparatissime offrano riposte non proprio adeguate.
Tra le numerosissime analisi proposte, mi vorrei soffermare su quella elaborata da John McKee dalle colonne di TechRepublic e fare insieme alcune considerazioni.
Secondo John l’atteggiamento di Toyota all’emergere del problema è stato esattamente quello che si deve evitare: non lo si è affrontato frontalmente, ovvero non si è gestito il problema in modo organizzato e proattivo, direi quasi “guidando”, in un certo senso, la crisi e non lasciandosi trascinare da essa.
Quando emerge un problema di questo genere, occorre immediatamente predisporre un piano di comunicazione e individuare rapidamente le spokeperson autorizzate a fornire informazioni ai media secondo le strategie elaborate nel piano.
Secondo McKee Toyota ha impiegato troppo tempo a gestire attivamente la questione. I rivenditori sono stati abbandonati a se’ stessi, senza informative precise sulla natura del problema. Nei confronti dei media poi Toyota ha dato si se’ l’immagine di un’azienda poco trasparente o addirittura incapace.
Un simile evento ha messo a dura prova la fedeltà dei clienti, aperto una ferita nella reputazione di Toyota, fatto scendere le vendite e abbassato il valore del titolo in borsa.
Ma questo bilancio negativo in realtà non era affatto scontato. Anche dopo eventi di questo genere la fedeltà dei clienti e la reputazione possono non solo uscire indenni, ma addirittura trarne un effetto positivo. Tutto naturalmente dipende dalle modalità di gestione della crisi.
Aggiungerei che oggi le aziende hanno a disposizione un ventaglio di strumenti per comunicare con i propri pubblici, (nella fattispecie i rivenditori, i clienti, gli azionisti, gli analisti) che vanno ben oltre il comunicato, la conferenza stampa o le interviste.
In poche ore è possibile aprire un blog dedicato, una pagina su Facebook, un canale su Twitter e altro ancora, e parlare ai propri stakeholder con la massima velocità trasparenza.
Sottolineo ancora che sarebbe stato forse possibile tentare addirittura un “ribaltamento” della situazione, e lanciare da subito, attraverso tutti i canali, persino un messaggio “positivo” che più o meno avrebbe potuto dire: “Toyota, che fa della affidabilità e della sicurezza dei propri prodotti un valore assoluto e distintivo del proprio brand, in seguito a sole 26 segnalazioni di possibili malfunzionamenti ha deciso di attuare un richiamo per verificare 1 milione 800 mila vetture in Europa.”
Circa i risultati conseguibili attraverso una gestione corretta delle crisi, McKee rimanda a questo studio relativo alla ben più drammatica vicenda del Tylenol.

Voi che ne pensate ?
Altri post sul crisis management:
http://pr-blues.blogspot.com/search?q=crisis

L’articolo originale

Un altro articolo (in italiano) sulla vicenda Tylenol

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