Sbagliando si impara. Forse… (Blogging Mistakes Blues)

“Le aziende impareranno dagli errori compiuti da Wal-Mart, Edelman, e Kryptonite, a accetteranno l’idea del marketing conversazionale come meccanismo economico ma produttivo per rimanere costantemente in contatto con il proprio mercato”

E’ singolare che l’analisi di un illustre analista come Stowe Boyd, del Cutter Consortium, inizi la sua disamina sullo stato attuale del rapporto tra social media e aziende partendo da alcuni tra i più clamorosi flop della storia recente della blogosfera. Mi pare una ulteriore ammissione del fatto che le aziende si sono buttate a pesce sui social media in modo massiccio, ma affrettato, superficiale, acritico e, spesso, decisamente rozzo.

Non so se condividere in pieno l’ottimisno di Boyd sull’immediato futuro di questo difficile rapporto: “Tutto questo diventerà una seconda natura (delle aziende) e tutto il settore delle PR e del marketing ne risulterà profondamente modificato; in meglio.”

Vedremo.

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Pausa

Questo blog si ferma per una decina di giorni. Va in montagna a respirare un po’ di aria buona. Fate i bravi mentre non ci sono, eh ?

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Blog ? Sì grazie ! (Blog Marketing Blues)

In mezzo a tanta confusione e discussioni circa cosa un’azienda può fare con un blog e cosa no, come farlo, chi deve farlo etc etc,  credo stia emergendo comunque con chiarezza il fatto che esitono categorie di prodotti che trovano oggi nel blog non una  ”aggiunta opzionale” al piano di marketing e comunicazione, un “di più”, che si fa se si può, se avanzano i soldi e così via, ma un elemento chiave, irrinunciabile, rispetto a cui altre attività, tipo pubblicità e ufficio stampa tradizionale, possono passare addirittura in secondo piano. Un buon esempio che mi è capitato recentemente sotto gli occhi è il blog di Fring.  Ora, molto brevemente, Fring è un software, un client per i cellulari che consente di fare chiamate VOIP usando i propri account di MSN Messenger, Skype e Google Talk. Non entro assolutemente nel merito del prodotto, non saprei giudicare se funziona e come funziona (anche se a naso il concetto mi sembra parecchio interessante…) Quello che mi preme sottolineare qui è che per un prodotto di questo genere il blog è lo strumento di marketing capace di offrire valore : in modo trasparente, semplice, community oriented, flessibile e multimediale offre un supporto diretto, aperto, veloce ai nuovi utilizzatori  e a chi, incuriosito, vuole capire meglio, fare domande, trovare dei tutorial video (ne sono stati prodotti alcuni in italiano). La coerenza tra prodotto, utilizzatore tipo e piattaforma di comunicazione mi sembra davvero eclatante. Niente fake blog, niente viral (o pseudo tali) demenziali. Solo quello che serve. Un blog.

   

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Sono una minoranza (Old Blogger Blues)

Riprendo (via Gaspar) questo grafico di Diario Aperto.

E all’improvviso mi sento una minoranza… insomma, più o meno, a occhio, su un campione di 4000 sono nel gruppo dei 180 più vecchi… (ma dove ho messo quella crema per le rughe…? )

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Voghera Advertising (Brain Blues)

L’ineffabile Casalinga di Voghera mi segnala oggi la nascita di LcdV, la sua nuova agenzia pubblicitaria.  Il modello, la “filosofia” (passatemi il termine)  con cui LcdV si propone al mercato è straordinariamemte affine a quella con qui abbiamo fondato Quorum PR. Lascio a Marco la parola:

“Dimenticatevi riunioni faraoniche, ragazze scollacciate e bottiglie d’acqua fresca a go-go. Qua si fa solo pubblicità. E la si fa sul serio.” (…)

“Semplicemente non abbiamo un ufficio, non abbiamo una segretaria, non abbiamo comode poltrone in pelle. Abbiamo le nostre teste. Che pensano come e più di quelle di molti altri. Tagliati tutti i costi superflui e non strettamente necessari siamo al minimo indispensabile. Niente tappetini rossi alla reception. Anzi, niente reception. Niente telefono, fax o fotocopiatrici. Solo un gruppo di giovani che sfrutta le più moderne tecnologie per creare campagne pubblicitarie.”

Noi un ufficietto ce l’abbiamo, e anche un paio di telefoni, ma il concetto “i fronzoli  stanno a zero, la consulenza a 1.000″ c’è tutto. Auguri, Marco.

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La notiziabilità del comunicato stampa (Meme Blues)

Con imperdonabile ritardo reagisco al meme lanciato dall’amico Carlo Odello su un tema sicuramente complesso come la notiziabilità del comunicato stampa, ovvero quali sono le condizioni che favoriscono la ripresa di un comunicato da parte dei media. Carlo esamina in profondità parecchi aspetti del tema e io mi limiterei ad alcune osservazioni a margine.

Innanzi tutto aggiungerei ai fattori chiave la competenza specifica del comunicatore nell’area in cui opera l’azienda. Capita di leggere comunicati che sono evidentemente scritti da qualcuno che ha sì ricevuto delle informazioni dall’azienda, ma che nel tentare di trasmetterle evidenzia lacune e ignoranze di vario genere che finiscono con l’inficiare l’efficacia del comunicato. Nell’area dell’information technology casi come questo sono all’ordine del giorno. Piccolo ma significativo esempio: mi è capitato di leggere in un comunicato di una grande azienda l’acronimo RFId (radio frequency identification) tradotto come “identificazione delle radio frequenze”. Ora, è evidente come l’estensore del comunicato non avesse assolutamente dimestichezza con la tecnologia in questione, visto che l’RFId si occupa dell’identificazione e del tracking degli oggetti tramite radio frequenza. Ora credo che un giornalista che si occupa di tecnologia si faccia una sana risatina in proposito e vi lascio immaginare dove vanno a finire credibilità e autorevolezza di azienda e agenzia, che qui sono legate una all’altra, non dimentichiamolo.

Estendendo il ragionamento ai new social media, le stesse considerazioni valgono, e a maggior ragione, per chi deve per esempio gestire un blog dedicato, ad esempio, ad un prodotto o una tecnologia. E non sto parlando di tecnologie complesse, ma anche consumer: pensate agli appassionati di videogiochi o di cellulari.

Vorrei poi aggiungere che oggi sicuramente la notiziabilità può essere sostenuta offrendo al giornalista un insieme di risorse che facilitino e arricchiscano il suo lavoro. Vorrei riprendere qui quanto dicevo qualche giorno fa nel corso di una chiacchierata su Marchetting: “…oggi inviare una notizia ad un giornalista vuol dire integrare testo, immagini, link a documenti di approfondimento, a wiki, podcast, blog, etc etc. insomma si deve prendere atto del ruolo che i new social media possono e devono svolgere. Quello che rimane però sempre centrale è il problema del contenuto, cioè del valore di quello che comunico: se io do al giornalista un contenuto o una informazione che rappresenta ( o può rappresentare) realmente un valore per chi leggerà quell’articolo, io ho reso un servizio all’azienda, l’ho reso al giornalista, l’ho reso al lettore. Lo strumento in fondo qui è secondario: comunicato, intervista, blog, newsletter, white paper, case history, un parere, un commento.”

E voi come la pensate ?

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Precisazioni linguistiche (Blog Blues)

(Post assertivo del Lunedì)

Secondo me:

- un blog non si “possiede”

- un blog non si “ha”

- un blog non si “tiene”

- di un blog non sei “titolare”

- un blog non si “fa”

- un blog non lo “gestisci”

- un blog non l’hai “creato”

 

Del tuo blog puoi solo dire che l’hai aperto.

E se non lo puoi dire, non è un blog.

Buona settimana a tutti.

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L’email, questo sconosciuto (Word Mania Blues)

A volte le aziende fanno un uso dell’email davvero curioso.

Allora: ieri scrivo all’Ufficio del Turismo di un paese Europeo, chiedendo una specifica documetazione e informazioni per una certa area. Stamattina , ecco nella mia casella di posta elettronica una prima reazione. Bene, almeno sono veloci.

Però… l’email contiene solo il mio messaggio di richiesta. (?)

Ma c’è un attachment. (?!)

Un documento Word. (!!!)

Che , una volta aperto, non è altro che una risposta che mi ringrazia per l’interessamento , mi da’ dei tempi di risposta alla mia specifica richiesta e contiene alcuni link dove potrei trovare una parte delle informazioni che mi servono.  

La domanda sorge spontanea: per quale misterioso e recondito motivo tutto questo non è nel corpo dell’email ?

Dovendo proprio fare un attachment, non potevano mandarmi (in PDF) la brochure che mi interessa ?

Se credete che abbia una risposta, sbagliate.

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Il blog come strumento di crisis (Bad Comments Blues)

Qualche giorno fa discutendo con chi gestisce alcuni blog aziendali, è emerso un tema un po’ particolare, ma in un certo senso chiave per comprendere ciò che un blog può rappresentare per un’azienda.

Nella fattispecie si parlava dell’atteggiamento delle aziende che appena aperto un blog si mostrano un po’ irritate e preoccupate all’emergere di pochi commenti e, per di più, spesso negativi.

Da parte mia direi che prima di tutto in questo non c’è assolutamente nulla di “patologico” o particolarmente preoccupante. Un consumatore sente l’impellente bisogno di comunicare con l’azienda soprattutto quando ritiene di aver qualcosa di cui lamentarsi. Il caso del cliente felice che passa le giornate a tessere le lodi dell’azienda mi sembra francamente poco plausibile.

Ma proprio questo aspetto offre all’azienda uno strumento formidabile per monitorare in tempo reale eventuali problemi e, sotto un altro punto di vista, mostrare quello che distingue un’azienda tendenzialmente 2.0 dalle altre: il coraggio e la capacità di interloquire con gli scontenti. Non solo, ovviamente, con lo scopo minimo di recuperare il rapporto con il cliente in fuga, ma, attraverso l’esposizione mediatica di questo processo , con l’obbiettivo di arricchire e “avvalorare” il posizionamento dell’azienda e la sua immagine presso il pubblico o qualsiasi altro stakeholder.

Certo per reagire in modo adeguato a queste situazione occorre che la cultura aziendale sia preparata a sostenere questi rapporti, e il ruolo del consulente che li assiste nella gestione del blog è un ruolo chiave. Ma, vorrei sottolinearlo ancora una volta, pochi strumenti danno l’opportunità di catturare le negatività sul nascere e di reagire prontamente trasformandole in positività. E non mi sembra poco.

            

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Ghost PR (Ghost Blogging Blues)

Il tema del ghost blogging (ovvero, ad esempio:  il CEO di una grande azienda “finge” di aprire un blog personale, che in realtà è scritto gestito da qualcun’altro) è stato ampiamente dibattuto su molti blog che si occupano di comunicazione e sono emerse a proposito diverse scuole di pensiero.  Approfitto della sintesi offerta dal buon Shel Holtz  per aprire un piccolo dibattito.

Ci sono coloro che dicono, in buona sostanza, che il ghost blogging è assolutamente accettabile e  non c’è nulla di cui scandalizzarsi. Il ragionamento su cui si basa questa opinione è che un buon ghost blogger può interpretare perfettamente gli obbiettivi e la personalità del personaggio in questione.  Altri sottolineano come il ghost writing sia una pratica comune nella comunicazione business, e i blog sono solo un altro tool di comunicazione e perciò non si vede perchè non si possa estendere alla blogosfera una pratica di comunicazione nota e accettata.

E qui, francamente, mi trovo perfettamente allineato con quanto invece sottolinea Shel:

“My problem is simple: Blogs aren’t just another business communication channel. In fact, blogs were created and popularized by people who were fed up with traditional business communication channels. They had had enough of fabricated quotes in press releases and speeches read by executives but written by professional speech writers. These people wanted authentic conversations with real human beings. A ghost-written executive blog is the opposite of what blogs were created for; it is counterintuitive to the 10th tenet of Christopher Carfi’s Social Customer Manifesto: “I want to do business with companies that act in a transparent and ethical manner.”

Trovo anche particolarmente rilevante un altro argomento: quello della “autenticità” del blog.  Che non è un optional, ma la sostanza del blogging. E chi pensa che sia un optional non ha assolutamente capito cos’è un blog.

Shel sottolinea anche un aspetto che mi sembra di grande peso:  quando si parla di ghost blogging in realtà si sta discutendo delle aspettative  e delle percezioni di chi legge quel blog.  Si parla, in definitiva, di reputazione.

“It doesn’t matter how noble an executive’s intentions were or how brilliantly the ghost blogger captures the executive’s intent and personality. From the public’s point of view, the unmasking of an executive who isn’t writing the blog he claims he’s writing—the one with his by-line on it—would be no different than the revelation that a pro-WalMart blog was really penned by a public relations agency (regardless of how authentic that blog sounded thanks to brilliant writing). ”

Personalmente ritengo che se il manager di una grande azienda non ha ( non trova) il tempo di curare un blog, oppure non è realmente in grado si sostenere una conversazione online, o semplicemente non ha dimestichezza con la scrittura in generale, le alternative di comunicazione non mancano, e si possono sicuramente trovare strade alternative, purchè, ripeto, trasparenti.

 

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