Comunicati stampa e dintorni (Communication Value Blues)

Allora, andiamo con ordine.

Lo scherzetto di ieri ( una sano esercizio di autoironia “pierrese”, colto al volo nei commenti da Gianluca e Carlo ) farà sorridere biecamente i più attenti (e maligni) tra voi, che subito diranno: “Eh, il Bianchessi fa lo spiritoso, fa il guru della nuova comunicazione B2B, ma poi che comunicati emette nel lavoro di tutti i giorni ?”

D’accordo , chiariamo subito il punto per evitare equivoci. Molti professionisti della comunicazione devono talvolta (non sempre, per fortuna) convivere con aziende che vogliono comunicare ancora in un modo molto lontano da quelle che sarebbero le esigenze odierne di una azienda, soprattutto nell’area B2B.

Come molti di voi sanno una parte del nostro lavoro consiste anche nella localizzazione di comunicati scritti ed emessi negli Stati Uniti o in altri paesi, e su di essi il potere di modifica è limitatissimo; cerchiamo sempre di correggere i difetti più imbarazzanti, ma anche noi (lo ammetto) abbiamo dato in più di un’occasione il nostro contributo all’indice della Felicità Aziendale. Abbiamo anche visto passare commenti manageriali che hanno lasciato perplessi anche noi… e a volte è davvero arduo trasformare il linguaggio VCO (“very corporate oriented”) in uno VRO (“very reader oriented”).

Ma va detto che , nella nostra esperienza, ci sono aziende e manager che non hanno avuto problemi ad abbracciare una visione della comunicazione più ampia, articolata e aperta a nuovi strumenti e tattiche. E non sono mancate le soddisfazioni.
Ma torniamo al nostro argomento. Non certo nuovo , lo so, ma ogni tanto torna in auge, e mi sembra utile provare a schiarirci le idee. Non ho la pretesa di proporvi un trattatello, ma qualche osservazione sì.

Nella fattispecie, lo stimolo me l’ha dato un recente post di Shel Holtz che torna sull’argomento ingaggiando un “duello” a distanza con Stowe Boyd .

Allora, il mio punto di partenza è che il comunicato stampa non è morto, ma i comunicati fatti e gestiti male sono tutti morti.

Se un comunicato è stilato secondo i pessimi “modelli” di cui sopra, non c’è dubbio che sarebbe meglio lasciar perdere, e rinunciare a usare i comunicati. (Per non parlare di quelli addirittura scritti in un pessimo italiano, ma quelli si squalificano a prescindere dai contenuti…)

Riprendo una precedente osservazione di Shel:
“Public relations is about influence. Organizations can and should wield influence ethically. Among academics, ethical public relations is often referred to as “two-way and symmetrical.” That is, the relationships result in win-win scenarios in which both the organization and the public achieve their goals. The tools of two-way symmetrical communication include negotation and boundary-spanning.”
E mi piace tornare anche su un’affermazione di Edelman : “Press releases will be deconstructed: how companies produce and package their news via the press release will change but not die.”
Altro spunto di riflessione viene offerto da VON Magazine, pubblicazione che si occupa del mondo VoIP, che mette ben in chiaro che cosa vorrebbe ricevere dalle aziende; una lista interessante:

(…) Receipt of email does not guarantee that a press release will be included, therefore:
News Likely to Run
* Major product announcements
* Large customer announcements
* Significant and/or relatively unique partnerships with recognized industry leaders
* Financial Reporting: quarterly and year-end, etc
* Mergers and acquisitions
News Unlikely to Run
* Personnel announcements and promotions
* Company made “Top” (fill in the blank) list
* Company “Awarded” (fill in the blank)
* Company’s “Market Share or Stats” according to (fill in the blank)

Mi sembra che il messaggio chiave sia : quando l’azienda si rivolge ai media perchè i media stessi parlino dei suoi prodotti, delle sue tecnologie o delle sue strategie, occorre tenere ben presente quel “win-win” di cui parlava Shel, e la parola magica è “contenuti”.

Se io do al giornalista un contenuto o una informazione che rappresenta ( o può rappresentare) realmente un valore per chi leggerà quell’articolo, io ho reso un servzio all’azienda, l’ho reso al giornalista, l’ho reso al lettore.

Lo strumento qui è secondario: comunicato, intervista, , blog, newsletter, white paper, case history, un parere, un commento….

Se l’azienda vuole visibilità, deve accettare lo scambio: valore (per tutti) in cambio dell’attenzione.

La competenze del comunicatore quindi non risiedeno (più) soltanto nello stilare un comunicato secondo “crismi” più o meno validi, accettati o codificati e nel saper gestire una mailing list.
Oggi il nostro lavoro è saper produrre assieme all’azienda contenuti di valore e saperli gestire attraverso un ventaglio ampio di strumenti di cui bisogna comprendere a fondo natura, vantaggi e svantaggi specifici in relazione all’azienda e ai suoi pubblici.
E se adesso Gartner non mi mette tra i “visionary”….
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Comunicato stampa ( PR Joke Blues)

Milano, 22 Gennaio 2007 – “Le Relazioni Pericolosamente Pubbliche”, (PR Blues) blog leader nel mercato delle soluzioni di posting per il mondo delle PR, annuncia che il prossimo post tratterà delle problematiche relative al comunicato stampa oggi.  
 
Il post analizzerà il significato e il ruolo del comunicato stampa nell’odierno panorama della comunicazione aziendale, e grazie a una serie di considerazioni e link “best of breed” si propone di aprire una nuova era nel mercato del PR posting.
 
“Solo veramente lieto di poter offrire ai miei lettori il mio ultim post, – commenta il CEO, CIO  e CTO del blog, Enrico Bianchessi -  “Sicuramente i nostri clienti e partner trarranno ampi benefici dalla lettura, con vantaggi evidenti e misurabili per il  ROI della propria comunicazione”
 
PR Blues è stato recentemente posizionato da Gartner nel Magic Quadrant della survey “The PR Posting 2006- Global Overview”
 
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(…è perfetto, che ne dite … ?? )
 
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Mavens & Blogs (Viral Marketing Blues)

Oggi vorrei soffermarmi un attimo sull’analisi del marketing virale svolta da Malcom Gladwell, giornalista, scrittore, blogger e consulente.  Ho tratto spunto dall’intervento che Gladwell ha fatto al recente World Business Forum a Milano.
 
Il buon Malcom parte dal parallelo tra la diffusione di alcune malattie e la diffusione delle idee. Gli elementi chiave del fenomeno sono:
-  la capacità di contagio
-  l’esistenza di piccole cause che provocano grandi cambiamenti
-  un punto critico in cui il fenomeno accelera e acquista un’enorme importanza.
 
Sono in sostanza i fattori che stanno alla base del “viral marketing” che si può definire una metodologia che si applica a diverse proposizioni tra cui il potere del contesto sull’influenza del comportamento e l’utilizzo di certe persone con un’eccezionale capacità di diffondere informazioni all’interno di cerchie diverse.
 
Gladwell sostiene che esistono due tipi di persone che svolgono un ruolo chiave nei processi di marketing virale:  i “connettori” e i “maven”. La parola “maven” proviene dallo Yiddish e significa “colui che accumula conoscenza”: tale senso può essere esteso a quelle persone che possiedono una speciale capacità di raccogliere e condividere informazioni (quelli che vengono comunemente definiti “esperti”).
I “connettori” secondo Gladwell sono invece coloro che hanno la particolarità di conoscere molte persone provenienti da cerchie differenti: gli impiegati di un’azienda, ad esempio, hanno un’importante funzione nella comunicazione interna e nella risoluzione dei problemi. Credo che non sia difficile vedere in questo modello un parallelo con la blogosfera. Ma proseguiamo nell’analisi.
 
Sempre a proposito di aziende, anche i clienti possono ovviamente comportarsi come maven o connettori, e hanno un ruolo chiave nella diffusione delle informazioni mediante il passaparola.
Gladwell sottolinea che i maven non sono semplici collettori di informazione, in quanto ciò che li distingue è la loro predisposizione a raccontare alla gente quello che sanno.
 
Un maven ha informazioni su differenti prodotti, prezzi e luoghi mentre i connettori sono lo strumento per la diffusione di questa conoscenza presso una cerchia sempre più ampia. E qui arriviamo al punto chiave: come fanno le aziende a mettersi in contatto con  i connettori, ma soprattutto con i maven  (quelli che nella blogosfera definiamo gli “influenzatori”) ? Gladwell fornisce un paio di esempi: i maven sono spesso i primi a comprare un nuovo prodotto: per questo motivo gli sviluppatori software producono delle versioni preliminari dei loro programmi, offrendo l’opportunità di testarli prima che vengano ufficialmente lanciati sul mercato. Questo modo di procedere rafforza le relazioni con quel gruppo di utilizzatori (autorevoli) che vengono seguiti e ascoltati da quei consumatori che hanno meno familiarità con la tecnologia .  
 
Immagine di James Marsh

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Advertising Blues

Sollecitato (senza possibilità di sfuggire al dovere…) dall’amico Maurizio Goetz, provo a dire la mia sulla pubblicità.
 
Maurizio, l’hai voluto tu, poi non lamentarti della qualità dell’intervento…
 
Le domande poste da Maurizio sono troppo difficili per me e proverò abilmente a evitarle deviando un po’ il discorso su temi  specifici e aspetti del problema che toccano più da vicino la mia attività di comunicatore “non-pubblicitario.” Insomma, forse divagherò un po’ rispetto alle più corpose e ampie analisi che qualcuno produrrà in merito.
 
Chiarisco questo perchè probabilmente la mia visione è molto influenzata dal fatto che mi occupo soprattutto di comunicazione B2B, dove la pubblicità ha un ruolo, a mio avviso, largamente inferiore rispetto al mondo consumer, succo di frutta o pannolino che sia.  E, inutile negarlo,  sono spesso scandalizzato dalla facilità con cui le aziende trovano budget (a volte anche sostanziosi) per la paginetta di pubblicità  e non riescono ad avere una visione un pochino più ampia e articolata della comunicazione e dei numerosi strumenti oggi a disposizione. La pubblicità B2B, tra l’altro,  è tutt’ora caratterizzata da una creatività scarsissima; siamo spesso alla biondona in bikini che regge ammiccante l’oggetto…  magari una saldatrice industriale.
 
Se è assolutamente vero il concetto sottolineato da Gianluca, per il mondo consumer, circa la necessità di una comunicazione  che offra valore: “… la TV mi propone qualcosa in linea con ciò che sono io e ciò che sto guardando, evitando di interrompere, se non per pochi secondi (“il tuo tempo è importante, per noi”) e iniziando ad affiancare i contenuti…” , lo stesso concetto guida dovrebbe essere seguito (e a maggior  ragione) nel mondo B2B, dove invece si vedono ancora aziende capaci di sborsare centinaia di migliaia di Euro per “sponsorizzare” in qualche modo una squadra di serie A e mettere un microscopico loghino sul (fastidioso) muro semovente che  fa da sfondo alle interviste ai calciatori… Valore aggiunto: zero; visibilità: nemmeno quella.
 
Offrire valore, contenuti rilevanti , a questo va legato il brand, che allora ne trae a sua volta valore e credibilità per se’. E’ chiaro che questo è possibile solo con un piano di comunicazione articolato, costruito attorno al messaggio chiave che l’azienda vuole dare, dove i vari strumenti hanno pesi e ruoli differenti a seconda della specificità dei destinatari.  E il panorama dei mezzi, off-line e on-line, oggi consente davvero di trovare soluzioni creative, efficaci e a basso costo.
 
Diversamente, sono soldi buttati al vento.
 
 
 
 
  
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Fake guns (Fake Communication Blues)

Leggevo oggi sul Corriere della Sera di una rapina a Milano finita in burla.
 
L’apprendista rapinatore ha tentato la sorte in una banca, presentandosi “armato” di  una pistola finta, fatta in casa con qualche materale plastico. Forse l’agitazione, forse la febbre dell’emozione che ha fatto salire la temperatura, fatto sta cha la minacciosa arma si è letteralmente “squagliata” nelle mani dell’incauto bandito, e impiegati e clienti hanno vista la canna della pistola piegarsi tristemente verso il pavimento. La tensione si è “sciolta” e lo pseudo-rapinatore è fuggito tra la rilassata ilarità del pubblico.
 
Questo episodio mi ha fatto immediatamente tornare alla mente certi strani comunicati stampa (con annesso sito) e certi fantasmagorici tecno-banner. (ne ho parlato qui sotto).
 
La comunicazione di quelle aziende e delle loro agenzie (di PR o di pubblicità che siano)  è esattamante come quella pistola. E’ comunicazione solo se vista per un attimo e da lontano: avvicinadosi anche solo un po’ ci si rende conto di  quel che è in realtà: un festival di approssimazione, mancanza di conoscenze di base e una boria senza limiti.
 
Ma tant’è: finchè c’è chi paga fionde e affini come fossero carroarmati e bombe intelligenti, continueremo a commentarne delle belle.  
 
 
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Web 0.5 (Online Awareness Blues)

Comincio il nuovo anno prendendo spunto dal post di Carlo Odello sul “simpatico” banner mobile di  Banca Popolare Italiana
Quando l’ho letto ho dato un’occhiata al calendario: 29 Dicembre 2006.
A pensarci c’è da rotolarsi dalle risate.
 
Noi qui a parlare di web 2.0, di nuova era della comunicazione, di nuovi modelli e paradigmi, di blogosfera e di nuovi rapporti tra imprese e clienti, ed ecco che un’azienda con un totale attivo di 52 miliardi di Euro, che sicuramente ne investe qualcuno in comunicazione, non trova niente di meglio, per comunicare con i suoi potenziali clienti,  che prenderli per i fondelli con un fastidioso intruso formato banner che ti sfotte e ti grida in faccia: “Prendimi se ci riesci , gonzo !”
 
Quando ho scritto il titolo di questo post sono stato troppo buono… forse “-1.0″ sarebbe stato più adatto. 
 
Sembra davvero incredibile che gli stuoli di consulenti che sicuramente hanno lavorato a questa splendida inziativa dimostrino una così totale e clamorosa insipienza circa quello che è (dovrebbe essere) oggi la comunicazione online. Ma probabilmente vi mostrerebbero che è di successo perchè è stata cliccata tantissimo …. i promotori della fantastica e geniale campagna saranno premiati dentro e fuori l’azienda. 
 
Ma c’è un ulteriore dettaglio, scoperto quasi per caso, che mi sembra davvero illuminante su certa cultura aziendale. Guardate cosa ho trovato  nella pagina di investor relations della banca in questione:
 
“Il Gruppo Banca Popolare Italiana si avvale della collaborazione di circa 8.600 dipendenti, dispone di oltre 3 milioni di clienti e di un totale attivo di 52 miliardi di euro” 
 
Avete letto bene ? “dispone” di 3 milioni di clienti….
 
Buon anno a tutti noi !
 
 
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AUGURI BLUES

Eccoci qui nel nuovo anno, un sincero augurio dal vostro …
 
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Auguri !

 
Auguri per un felice Natale e un sereno 2007 a tutti voi.
Ci sentiamo l’anno prossimo !
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Spam come se piovesse… (Spam Tragedy Blues 2)

Giusto per chiarire le dimensioni attuali del problema, penso che qualche numero possa aiutare.  
Tramite emarketer leggo alcuni dati recenti.
 
Secondo Ironport 62 miliardi al giorno (sì avete letto bene, miliardi) di messaggi spam si sono rovesciati sulle caselle email degli utenti statunitensi in Ottobre, e questo rappresenta un raddoppio del volume rispetto a Ottobre 2005. Questo incremento sarebbe dovuto a due ragioni : da una parte a nuove tipologie di spam, dall’altra ad un incremento delle “bot-net”, ovvero reti di computer precedentemente oggetto di attacchi di Trojan, tramite i quali vengono installati programmi-virus che permettono a terzi il controllo del PC.
 
Secondo Postini  le email indesiderate sono il 91% del totale, e il volume sarebbe addirittura aumentato del 120%  rispetto all’anno scorso.
 
Osserva Daniel Druker di Postini. “Spammers are increasingly aggressive and sophisticated in their techniques. Spam has evolved from a tool for nuisance hackers and annoying marketers to one for criminal enterprises.”
 
Qualche giorno fa Matteo Balzani su IMlog commentava le mie osservazioni: “…è proprio per questo, Enrico, che mi stupisco dell’efficacia che ancora ha l’email marketing. e quando parlo di efficacia parlo proprio di lead e sales, non di visibilità o altro.”
 
Ma allora gli email-marketer sono comunque felici e tranquilli ?  Si preoccupano solo di migliorare l’efficacia finale ? Boh….
 
 
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Nomi pericolosi (Filtering Internet Blues)

Certo che avere certi nomi oggi è davvero un problema.
E non sto parlando di cognomi ridicoli o omonimie imbarazzanti.
 
Il problema può riguardare persino una regione … o una contea. 
 
Credo che ormai molti, in azienda come in casa, dispongano di filtri che bloccano siti pornografici o comunque a contenuto erotico e sessuale in genere. Oltre che far riferimento a  liste specifiche, questi sistemi analizzano l’URL della pagina. E qui cominciano i problemi.
 
Pochi giorni fa dovevo visitare il sito di una contea inglese, un rispettabilissimo sito governativo, per informarmi su un progetto RFID riguardante le biblioteche pubbliche.
Peccato che il sito in questione fosse quello del … Sussex.
Mi domando: ma in quanti riescono a visualizzare le pagine di quel sito ?     
 
Altro che “niente sesso siamo inglesi”… 
 
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