A dissenting View (PR or not PR Blues)

Consiglio caldamente la lettura di questo stimolante articolo di Richard Edelman.

Apre una discussione di grande interesse.

keep-calm-and-call-your-pr-guysDi primo acchito, mi limito a evidenziare quanto segue:

PR is more than a set of tactics or tools. It’s a mindset; the ideas that come from PR people are different than those that come from advertising people. Both are engaged in storytelling, but the PR idea stimulates discussion and has the potential to play out over years. A PR idea has to start with relevancy and newsworthiness.

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Branding Blues

EBCover_ScreenShot-e1316973482345-300x100L’amico Murizio Goetz ripropone il decalogo di Marc Gobé . Colgo l’occasione per ri-condividere.

 

1.Da consumatori a individui (i consumatori acquistano, gli individui vivono)
2.Da prodotti ad esperienze (i prodotti soddisfano i bisogni, le esperienze soddisfano i desideri)
3.Dall’onestà alla fiducia (l’onestà è scontata, la fiducia deve essere guadagnata sul campo)
4.Dalla qualità alla preferenza (la qualità è il cosa, la preferenza è il come)
5.Dalla notorietà all’aspirazione (essere conosciuti non vuol dire essere scelti)
6.Dall’identità alla personalità (identità è essere riconosciuti, personalità è avere carattere e carisma)
7.Dalla funzionalità al sensorial design (la funzionalità è una qualità di superficie, il sensorial design è la progettazione dell’ esperienza
8.Dall’ubiquità alla presenza emozionale (l’ubiquità è essere visti, la presenza emozionale è essere percepiti)
9.Dalla comunicazione al dialogo (comunicare significa dire, dialogo significa condividere)
10.Dal servizio alla relazione (il servizio è vendita, la relazione è riconoscimento)

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Stupidario marketing (Fake Marketing Blues)

Vi invito a leggere questo bell’articolo di Max Morales su BrandForum.

fake stamp in business office showing copy concept with copyspacePensare che ci sono responsabili marketing che “investono” danaro in queste brillanti operazioni è davvero sconfortante.

Riporto qui un breve stralcio:

“…il fatto di acquistare follower e fan permette alle aziende di compilare statistiche esaltanti sulla crescita dei propri seguaci e di mostrarle a clienti e prospect per dare “fumo negli occhi” su una notorietà che di fatto non esiste. Il fatto è che, in questo senso, le bugie hanno le gambe corte. Per dirlo con le parole di Luca della Dora, social media strategist di We Are Social e blogger, “una fanpage – ad esempio – con 5 milioni di Like, ma un engagement rate nullo, ha senso quanto un annuncio 6×3 piazzato in mezzo al deserto del Nevada. A 5km dalla strada principale”. Eh sì, perché quello che paga delle nostre presenze sui social media sono le conversazioni tra fan, il fatto che i nostri fan diventino automaticamente dei brand ambassador spontanei. Quando abbiamo di fronte dati come quelli citati da Della Dora è fin troppo chiaro che ci troviamo di fronte a fan acquistati e la figura per l’azienda, in termini di reputazione, non è certo vantaggiosa…”

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Quale Social per il B2B ? (Social Business Blues)

Nello sviluppo dei progetti di Social Marketing B2B occorre fare una valutazione attenta delle caratteristiche dei “canali” in relazione alle reali abitudini di fruizione del pubblico che si vuole coinvolgere.

Ho la sensazione che su questo specifico fronte ci sia una supervalutazione di Twitter e di Facebook e una certa sottovalutazione di Linkedin.

Qui una interessante infografica

 

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Un difficile ma necessario equilibrio (Social Marketing Balance Blues)

La relazione con i consumatori attraverso i social media e internet in generale è un equilibrio difficile. Ma va trovato, altrimenti trattasi di puro tempo perso.

“The golden rule of engaging consumer sentiment appears to be “speak when spoken to.” Substantial majorities of consumers under 55 agreed that companies should respond to complaints posted in social media. But the survey option that elicited the broadest agreement was “companies should only respond to online comments made directly to them,” for instance, via social media. Most consumers, in other words, appreciate attentive listening and ready responses—but on their own terms.”

 

Per approfondire: http://goo.gl/bviiK

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Sottili differenze (Translation Blues)

L’articolo di Matt Hauser non è recentissimo ma il tema mi pare ancora quanto mai attuale, soprattutto leggendo certi comunicati stampa o certe brochure di prodotto…Riporto alcuni passi:

(…)

1.      Translation – This applies to fairly literal, “word for word.”  This is often out of necessity.  If you want to make sure that a person in Japan understands how to use a product (such as a medical device), it is important that the source and target-language text match up precisely. translation

2.      Localization – This is a more involved process whereby the target-language content is adapted to more effectively convey a similar meaning or connotation in the target culture. Idiomatic expressions, puns and marketing material generally fall into this category, but localization can apply to any type of content based on what your business objectives are. The key point here is that your target-language version will often not be a literal translation.  As an example, if you want to convey the phrase “Like father, like son” in Chinese, it would read as something like “Tigers do not breed dogs.” Although this doesn’t match up with the source content, it has the same connotation in the target culture. (…)

P.S. anche quella nell’immagine è una “translation”

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Chiodi, martello… manca nulla ? (Social Media Strategy Blues)

“The problem with most companies is they have implemented a tools-based strategy, and as everyone knows, say it with me class, “That is not a strategy at all!”

Steve Farnsworth ci invità così a riflettere sull’effettivo significato di certe “cosiddette” social media strategy, che strategie in realtà non sono affatto. 

Avete la vostra luccicante pagina Facebook, quella Linkedin,  Twitter, e voilà siete nel marketing 2.0.   O no….?

ID-10014679Avete assi, chiodi e martello, ma il vostro progetto ?

Lo scopo ultimo di un’attività di relazioni pubbliche (social e non) è quello di avere un impatto positivo sulle percezioni che clienti e stakeholder hanno circa la mia azienda, i miei prodotti, di attivare dei processi virtuosi che hanno come fine ultimo (non dimentichiamolo)  risultati di business.

Se non ho chiarito quali sono i messaggi, attraverso quali contenuti trasmetterli, come attivare le conversazioni coi miei pubblici, non ho in realtà alcuna strategia.

Sottolinea il buon Steve:

“Fundamentally, marketing has always been about conversations between the maker and buyers of goods or services. In the past it was always one-to-many, like broadcast advertising. However, given the role of the Internet in our everyday communications we now have a many-to-many or omni-directional conversation, with consumers talking and sharing with others on a massive scale.”

Sviluppare una attività di comunicazione sui social media con la convinzione di  vivere ancora in un mondo in cui si ha il controllo del messaggio e del mezzo non porta evidentemente da nessuna parte.

Creare una vera strategia significa insomma domandarsi dove è la mia audience e in quali contesti  i clienti parlano della mia azienda e dei miei prodotti.

Occorre capire come, perché e dove si parla del mio brand, identificare cosa è rilevante, e poi, di conseguenza,  costruire e diffondere i contenuti che supportano i miei obbiettivi di business .

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Content marketing (again)

Uno splendido post di Steve Farnsworth

22 Ways to Create Compelling Content [Infographic] And Content Marketing Case Study

blog-22-content-ideas

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Guarda questo ! (Mobile Marketing Blues)

Non credo ci sia bisogno di sottolineare la necessità per i marketer, soprattutto del mondo B2C (ma non solo), di seguire con attenzione le dinamiche della comunicazione mobile.

video-smartphoneUna recente ricerca di On Device ci permette di analizzare uno specifico aspetto molto interessante, ovvero quello della condivisione dei video fruiti su smartphone.

Le percentuali di sharing dei video sono davvero impressionanti (92%) e mostrano (ce ne fosse bisogno) il predominio di Facebook come strumento di condivisione.

Va da se’ che questo straordinario meccanismo si attiva se (e solo se) i contenuti del video sono adeguati, congruenti con chi li riceve e col momento di fruizione:

“When asked about their feelings towards mobile video advertising, respondents provided informative insights:

* 53 percent said that they are positive of neutrally receptive towards mobile video advertising
*Nearly half (48%) said that they would prefer seeing video ads that are related to the content of the video clips being watched
*A significant number (44%) recalled seeing an ad while watching mobile video, with short 10-15 second spots being the most recalled format.”

 

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L’importanza di chiamarsi Spokesperson (Ma anche Ernesto va bene)

spokesperson

“Guardi, che rimanga fra noi: ma il signor Xylion , il direttore dello sviluppo del nostro concorrente Zyzz, non ha nemmeno la metà delle competenze di un nostro venditore…e poi i loro software non funzionano mi creda ! Noi abbiamo già installato il nostro prodotto presso Ford, Fiat, BMW, Coca Cola, Bayer,  Unilever e la NASA lo sta valutando.”

Il precedente esempio di colloquio tra manager dell’azienda cliente e un giornalista rappresenta uno dei peggiori incubi di ogni consulente di PR. Certo forse ho un po’ esagerato (ma in passato ho avuto qualche esperienza simile…). Sta di fatto che  si tratta di un tema molto rilevante.  Ma andiamo con ordine.

Tra i vari elementi che concorrono a realizzare un’attività di media relations efficace, la spokesperson, ovvero il portavoce aziendale, colui che viene proposto come interlocutore ai giornalisti per le interviste (e spesso è anche colui che va a  rappresentare l’azienda a convegni e seminari), costituisce una risorsa di capitale importanza, e le sue performance possono influenzare notevolmente i risultati dell’attività di comunicazione nel suo insieme.

All’inizio del rapporto tra un’azienda e l’agenzia di PR, occorre identificare subito l’interessato e valutare con attenzione le sue caratteristiche personali e professionali in funzione del suo ruolo come comunicatore dell’azienda. E’ un momento molto delicato, dato che spesso la persona proposta dall’azienda lo è in funzione del suo ruolo aziendale (è il proprietario, il fondatore, l’amministratore delegato, il direttore marketing… ) e non è affatto detto che sia pronta per essere “impiegato” nelle attività.  interview

Occorre chiarire alle aziende che il fatto di non essere preparati a svolgere questo ruolo non è una vergogna o un reato: si tratta di una attività per cui è necessario disporre di una preparazione specifica. Non si tratta solo di avere o meno “facilità di parola” : si tratta di acquisire di una serie di competenze e nozioni, sia di tipo comportamentale che legato alla natura e alle caratteristiche dei media e dei giornalisti. Un approccio corretto a un’intervista può significare l’apertura di una relazione estremamente proficua e significativa per la comunicazione aziendale; allo stesso modo un approccio errato può precludere in futuro l’accesso a quella determinata testata, o abbassare comunque in modo significativo la qualità dei risultati ottenuti.  

Ecco perché è di fondamentale importanza avere chiaro come si affronta un’intervista, quali sono gli obbiettivi, quali gli atteggiamenti più produttivi, quali gli errori da evitare, e così via.

Ed ecco perché un media training è un’attività da inserire sempre e comunque in un piano di comunicazione. E le aziende devono essere consapevoli che si tratta di tempo e  denaro molto ben impiegato.

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