Personale

Oggi se ne è andata  per sempre una buona ragione per continuare a seguire il calcio. 
Per un vecchio interista, qualcosa di più.
 
  
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Promesse, promesse… (Bad Expectations Blues)

Carissimi, desidero iniziare il nuovo “anno lavorativo”prendendo spunto da una freschissima esperienza personale.
 
In primavera inizio la ricerca online di un agriturismo in Toscana; si tratta di una novità per me e per la prole, e cerco con la massima attenzione di selezionare una struttura che offra il maggior numero possibile di attività e motivi di interesse per i bimbi. Sulla base delle informazioni raccolte sul sito dell’agriturismo e di un ricco scambio di email con il proprietario, ne scelgo alla fine uno.
 
Allora: premetto che nell’insieme il giudizio sulla vacanza è positivo. La struttura era effettivamente in una posizione assolutamente splendida, si è mangiato bene, buona parte delle “promesse” (il marketing attuato attraverso sito e email) sono state mantenute, ma….
 
C’è un ma, e riguarda uno degli errori di marketing più  marchiani e evitabili: la creazione di false aspettative.
Dico: ci sono un sacco di aspetti positivi e di elementi concreti da evidenziare e valorizzare, cose che l’esperienza diretta avrebbe poi confermato, e allora mi domando:
 
1. Perchè parlare dell’organizzazione di attività ludico - educative per i bambini che poi scopro essere inesistenti ?
2. Perchè citare la presenza di un interessante “percorso botanico” che poi si rivela essere evidentemente abbandonato da anni, con cartelli e indicazioni fatiscenti, aree che dovrebbero contenere specifiche piante invase dalla vegetazione spontanea etc. etc. ?
3. Perchè citare la possibilità di usare mountain bike che poi si rivelano essere ammonticchiate e inutilizzabili in un capanno ?  
4. Perchè citare la presenza di cavalli come se ci fosse un maneggio, che poi  in realtà non è abilitato per gli ospiti ?   
 
Creare una specifica aspettativa che si sa benissimo non sarà possibile soddisfare mi sembra un autogol così stupido e evitabile che mi domando davvero come sia possibile vederlo come  strumento di marketing.
 
Si credeva forse che , “accecato” da quello che di buono e positivo si offre, il cliente (un po’ babbeo) si scordasse di ciò che era stato promesso ? Oppure si tratta più banalmente di un atteggiamento teso ad attirare (one shot) e poi dimenticarsi per il futuro un nuovo cliente ?  Mah…
 
Immegine di James Marsh
 
 
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I corporate blog aiutano (Blog results blues)

Uno studio di Russel Research, sponsorizzato da Cymfony e Porter Novelli, segnala che il 76 % dei blog aziendali hanno generato un aumento del traffico web e, udite udite, del media coverage relativo all’azienda. Nel 42% dei casi almeno un post ha in qualche modo influenzato l’immagine del brand o dell’azienda, nella maggior parte dei casi in modo positivo. Da notare che ben il 57% delle aziende intervistate non ha creato alcuna “blogging guideline”.   Ancora più interessante il fatto che ben il 63%  ha dichiarato di essere entrato nella blogosfera per un  generico “bisogno percepito” di partecipare al fenomeno, ma senza in realtà aver definito uno specifico obbiettivo da raggiungere.
Questi ultimi due dati  meritano qualche riflessione. Da un lato trovo che sarebbe meglio , per un’azienda, affrontare la blogosfera nel modo più “consapevole” possibile, ovvero  fissando linee guida e identificando uno o più obbiettivi, sia pure generali. Questo approccio tende a limitare i rischi di ricadute negative e/o momenti di “crisis”.
Da un altro punto di vista  però trovo interessante, e positivo, il fatto che molte aziende abbiano sentito l’esigenza di essere della partita in ogni caso, cioè che abbiano comunque percepito il potenziale dello strumento. e si siano buttate nella blogosfera.
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Immagine di James Marsh
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Chiuso per ferie (Beach Blues)

Gentili Signore e Signori, per un paio di settimane il vostro blogger si assenterà e si dedicherà a un intenso “children training” sulla spiaggia.
 
Tornerò rinfrancato e snellito, non ne dubito.
 
 Arrivederci !
 
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Piccole cose che fanno la differenza. (Little PR Things Blues)

Nel giro di un paio di giorni ci sono arrivati i complimenti (assolutamente spontanei e inattesi) da parte di un paio di giornalisti che ci hanno ringraziati per la velocità con cui rispondiamo alle loro richieste di informazioni , immagini, materiali, etc. E allora mi sono anche tornati alla mente ( e adesso me li spiego meglio) i “Grazie mille !!” e altri piccoli segni di “riconoscenza” che mi è capitato di ricevere nel corso nelle “normali” attività di media relations.
 
Ho messo “normali” tra virgolette perchè così mi sembrava fossero. Avere sempre disponibili immagini e documenti aggiornati, fonti, e , soprattutto, rispondere ai giornalisti nel giro, quando possibile, di pochi minuti e non di giorni, mi sembrava una cosa ovvia. Nel nostro lavoro il giornalista è un “cliente”, molto particolare, certo, ma in qualche modo “cliente” le cui esigenze devono esere comprese e soddisfatte.
Banale ? Lo pensavo.
 
Dopo qualche chiacchierata extra, ecco che appare uno scenario in cui le Relazioni Pubbliche sono popolate da “operatori” che impiegano giorni e giorni per rispondere, o inviamo materiali errati, che non sanno distinguere tra un’immagine a bassa e una ad alta risoluzione, che, soprattutto, non sono mai in grado di offrire ai giornalisti spunti e fonti collaterali interessanti, anche se non legati direttamente al cliente, etc. etc.
 
Per non parlare di comunicati stampa (tanto per cambiare)  che aprono con un paragrafo di 10 righe che fa la storia dell’azienda. Poi, forse, laggiù, sotto, tra un paragrafo e l’altro, se il giornalista ha tempo e voglia di lanciarsi nella ricerca,  c’è qualche contenuto.
 
Sono dettagli ? O forse la prossima volta che avrà bisogno di contenuti, il giornalista chiamerà l’agenzia che è in grado di farlo lavorare al meglio ? ( E notate che ho provocatoriamente detto “agenzia”  e non “azienda”)
 
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Le aziende corrono verso i blog… (Question Mark Blues)

 

Mi sono imbattuto oggi in questo interessante articolo di Tekrati dedicato ad una ricerca di Jupiter Research. Gli analisti di Jupiter ci dicono che il 35% delle grandi aziende si apprestano ad aprire i rispettivi corporate blog entro la fine di quest’anno. Se combiniamo questo dato con la base esistente, pari, secondo Jupiter, ad un 34%, arriviamo attorno al 70%. Sicuramente la ricerca è molto U.S. oriented, ma il trend merita attenzione.  Jupiter sottolinea che i blog sono sicuramente sottoutilizzati dalle aziende come strumento per generare  ”word-of-mouth marketing buzz”.

David Schatsky di Jupiter spiega:  “By engaging prospective customers in active dialogue, companies can showcase their expertise and domain knowledge, creating a forum for communication of their strategies and visions. In doing so, companies can generate buzz around their products or services, while eliciting feedback and collaboration from product evangelists.”  

Insomma, riusciranno i nostri eroi (le aziende) ad approdare alla blogosfera ricavando tutto il valore aggiunto che vi si nasconde ? Gli analisti sembrano aver compreso cosa si nasconde dentro la blogosfera, ma io rimango sempre un po’ perplesso sull’approccio pratico delle aziende, che secondo me continuano in larga parte a vedere i blog come una specie di nuovo e un po’ misterioso media pubblicitario. Mi sbaglio ?  

Vedremo. 

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As time goes by (Web Mistakes blues)

Può sembrare strano, ma il numero di siti web che denunciano una  scarsa o inesistente comprensione della comunicazione online è ancora relativamente elevato.
 
Il sito web è sempre più spesso lo strumento chiave attraverso cui i  pubblici incontrano , conoscono, esaminano e dialogano (se possibile) con l’azienda. Consumatori, fornitori,clienti, e giornalisti partono dal web per farsi un’idea dell’azienda e il danno potenziale creato da una scorretta gestione del sito è davvero enorme. Non solo perchè spinge il visitatore ad abbandonare il sito, ma perchè comunica in modo diretto l’immagine di un’azienda incapace di correlarsi in modo positivo con l’esterno. E scusate se è poco
 
Ecco perchè non guasta mai fare un po’ di riflessioni sul tema e segnalo la disponibilità online di un ampio stralcio del libro  ”Prioritizing web usability” di Jakob Nielsen e Hoa Loranger, disponibile su Webmonkey .
 
Gli errori di web usability più comuni e “duri a morire” sono otto:
 
Links that don’t change color when visited
Breaking the back button
Opening new browser windows
Pop-up windows
Design elements that look like advertisements
Violating Web-wide conventions
Vaporous content and empty hype
Dense content and unscannable text  
 
Devo dire che alcuni di questi, sebbene davvero “basic”, sono presenti in un congruo numero di siti che mi è capitato di visitare e credo che anche voi li avete incontrati spesso.
 
Forse il primo, l’impossibilità di capire a colpo d’occhio su quali link di una pagina siamo già stati, può davvero sembrare banale, un dettaglio, ma a pensarci bene non è affatto così.
Il più vecchio precetto di base dell’usabilità, ci ricordano Nielsen e Loranger, dice che bisogna aiutare il navigatore a capire dove si trova, dove è stato e dove può andare. Le tre informazioni sono fortemente correlate: il loro quadro completo ci aiuta a decidere dove faremo il prossimo passo. Sul web i link sono il fattore chiave del processo di navigazione: i navigatori non utilizzeranno più link che si sono rivelati inutili e viceversa torneranno a utilizzare i link che hanno trovato utili in funzione dei loro obbiettivi.  
 
Vale la pena anche di soffermarsi sulle dannate finestre pop-up, che così spesso e fastidiosamente invadono il nostro video, tanto da essere ormai considerate alla stregua di un virus e, giustamente, bloccabili. Possibile che chi commissiona e, soprattutto,  chi disegna un sito non riflettano sul fatto che il  pop-up è forse l’elemento che più di ogni altro si scontra con la web usability, ed è largamente percepito con fastidio e risentimento ? Come si può continuare a proporre un meccanismo così stupidamente invasivo e “prepotente”, e pensare che possa generare atteggiamenti e , soprattutto, comportamenti positivi nel navigatore ?
 
Mi preme un’ultima riflessione sul “vapourus content”. e sui contenuti non riutilizzabili.
 
Rispetto al primo, è davvero curioso incontrare aziende che sembrano non voler dichiarare in modo chiaro, immediato e comprensibile cosa fanno e cosa offrono. Inoltre qualsiasi manuale di marketing & sales, per quanto datato, (e a qualsiasi media ci si voglia riferire) indica chiaramente la regola d’oro secondo cui occorre comunicare con chiarezza i benefici (benefit selling) e non le caratteristiche tecniche (features) dei prodotti. Principio che sul web ( come del resto nella comunicazione  aziendale in generale) sembra essere largamente ignorato.  Osservano gli autori :”Sadly, the web is so smothered in vaporous content and intangible verbiage that users simply skip over it. Of course, the more bad writing you push on your users, the more you train them to disregard your message in general. Useless content doesn’t just annoy people; it’s a leading cause of lost sales. (…) Using fluffy language doesn’t just hurt you while users are on your site. It can prevent users from finding your site in the first place because sites that use plain language will outrank you in the search engine results page listings.
 
Non di poco conto anche l’ultimo degli errori indicati: la ridondanza di testi è un fattore che immediatamente allontana i navigatori. Concludo riportando queste preziose raccomandazioni:
 
“Web text should be short, scannable, and approachable. Typically, you should write half as many words for the web as you would for print. If targeting a broad consumer audience that includes people with no or little education, it’s better to aim at 25 percent of the print word count. And in web writing, it’s always best to start with the conclusion, so that people who read only the first line or two on a page still get the main point. “
 
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Relazioni Pubbliche alla prova (PR exercises blues)

Davvero una bella esercitazione per i responsabili PR e le agenzie di relazioni pubbliche, il lungo articolo di PC World online che elenca i peggiori 25 prodotti tecnologici di tutti i tempi.
 
Gli ospiti sono davvero illustri, da AOL a Microsoft (che piazza tre prodotti nei primi 10), IBM, Iomega, Apple e altri ancora. Gli amici di PC World  Online ci sono andati davvero pesanti nei commenti : “…Internet Explorer 6.x might be the least secure software on the planet…”;  “Forget Y2K; this was the real millennium bug (Windows Millennium)”
 
Ma, a parte questo, ci sono un paio di presenze che mi preme sottolineare proprio dal punto divista delle PR.
 
Una è quella degli ineffabili signori di Sony BMG, che occupano nientopocodimenochè la quinta posizione grazie ai prodigi del loro DRM nascosto nei CD musicali e alla loro arroganza.
 
Ma anche la storia dei Zip Drive Iomega ha qualcosa da insegnarci. Un breve riassunto:
 
“Click-click-click. That was the sound of data dying on thousands of Iomega Zip drives. Though Iomega sold tens of millions of Zip and Jaz drives that worked flawlessly, thousands of the drives died mysteriously, issuing a clicking noise as the drive head became misaligned and clipped the edge of the removable media, rendering any data on that disc permanently inaccessible.”
 
Ma il meglio, ovvero l’ennesima lezione di quanto sia stupido negare i problemi, è la fine della storia:
 
“Iomega largely ignored the problem until angry customers filed a class action suit in 1998, which the company settled three years later by offering rebates on future products.” 
 
Questi limpidi esempi di pessimi comportamenti mi hanno fatto anche ricordare il recente caso Nestlè
 
Tornare a riflettere su questi casi non fa mai male.
 
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Ricerche e PR (Fake Data Blues)

Interessante e intrigante il problemino proposto dal buon Jim horton. La storia delle “ricerche” promosse e gestite da aziende che, guarda guarda, danno risultati largamente favorevoli ai prodotti dell’azienda in questione non è nuova.  Diciamocelo, vi sarà capitato di storcere un po’ il naso davanti a certi eclatanti risultati strombazzati reclamando a gran voce l’assoluta “scientificità” e “oggettività” della ricerca. Per carità,  ce ne sono di sicuro di assolutamente genuine e corrette, ma quando vengono utilizzate come strumento di comunicazione nell’ambito delle attività di  relazioni pubbliche, massima prudenza e massima attenzione. Essere costretti successivamente a correggere, specificare o addirittura smentirsi costituisce un vero disastro di immagine e credibilità. 
Qui la storia della ricerca dell’ American Medical Association da cui prende spunto Horton.
 
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Relazioni pubbliche, marketing e blog, quanta strada da fare… (VIP’s Blues)

Ricevo oggi un’email, palesemente standard e inviata identica ad almeno qualche centinaia di migliaia di blogger, che mi comunica come la distinta Sig,ra Vivien abbia “…notato il tuo blog/sito per la sua qualità e lo stile. Per questo vorremmo proporti di partecipare all’operazione VIP che stiamo organizzando per il lancio del nuovo telefono cellulare Pinco Pallo XY7777. Dopo aver consultato il tuo blog pensiamo che di sicuro potesti essere seriamente interessato ad entrare nella community di VIP blogger che la Pinco Pallo sta selezionando per scoprire il suo nuovo elegante telefono.”

Davvero, ringrazio per la favolosa opportunità, ma non mi sento ancora abbastanza VIP  …

E poi, sbaglierò, ma i signori della Pinco Pallo hanno le idee ancora un po’ confuse sulla blogosfera. Prima di tutto mi sembra che il buzz-marketing non si faccia lusingando una massa indistinta di blogger. Non mi pare inoltre che un blog possa assumere una posizionamento di rilievo, credibilità, autorità etc etc, previa iscrizione all’apposito circuito.

Ma forse sono io che mi sbaglio… anzi sbaglio io di sicuro.  Il Pinco Pallo XY7777 troneggerà sicuramente su milioni di blog.

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