Autocompiacimento (PR networks blues)

Beh, prima o poi un piccolo “sfogo” di orgoglio professionale dovevate aspettarvelo.

Perchè è così raro vedere riconosciuta la qualità del proprio lavoro, (e nel mondo delle Relazioni Pubbliche in particolare), che quando finalmente succede, la soddisfazione è davvero grande, e ci da’ un po’ di speranza per il futuro…

E non è nemmeno solo questo.

Riassumo molto brevemente.

Un anno fa, un nostro cliente, la filiale italiana di una multinazionale americana, ci lascia perchè la sede centrale decide che per le PR ci vuole un unico grande network con un bel brand internazionale.

Della totale mancanza di significato di queste scelte, peraltro davvero frequenti, non cesserò mai di stupirmi.

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza col mondo della PR sa perfettamente che, al di là della stessa “insegna”, le agenzie locali dei grandi network possono in realtà essere estremamente diverse tra loro, sia sotto il profilo del livello professionale, sia sotto quello delle specifiche competenze.

In un network l’agenzia francese può essere fomidabile nel consumer, ma totalmente incapace nella comunicazione B2B, e quella italiana il contrario, e così via. Ancora più eclatanti sono le differenze quando si parla di comunicazione per il mondo IT. E così in questi grandi e meravigliosi network ci sono spesso dei “buchi”. E così puntuamente si è verificato. Il nostro cliente, in Italia, è praticamente “sparito” dai media. Per un anno.

Ma le difficoltà sono emerse anche in altri paesi e, di questo occorre dare atto, anche gli americani se ne sono rapidamente accorti, e sono corsi ai ripari. Hanno indetto una nuova gara e questa volta, forse un po’ più attenti alle specifiche esperienze e competenze di ogni singola agenzia, hanno scelto per l’Europa un network formato da agenzie indipendenti. Un segnale che ho trovato davvero importante, e che spero stia a significare che certe “manie”, di fronte all’evidenza dei fatti, stanno segnando il passo.

Ma quello che ci ha davvero fatto piacere è che il nostro cliente, sulla base dell’esperienza fatta con noi, ha voluto fortemente che in Italia l’agenzia fosse in ogni caso la nostra. E così è stato.

Che volete, sono soddisfazioni…

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Back to work… (marketing fish blues)

E vabbè, le vacanze sono davvero finite..
Buon Anno a tutti e rimbocchiamoci le maniche.

La prima notizia del 2006 ? Beh, direi che il vero scoop di inzio anno è il mancato “suicidio” di uno dei nostri due pesciolini rossi.

Sì, avete capito bene: uno dei nostri piccoli ospiti acquatici ha tentato il grande balzo e si è catapultato fuori dalla boccia di vetro che lo ospita, atterrando sul tappetino del bagno. Il prontissimo intervento di mia moglie lo ha salvato, e pare che si sia perfettamente ripreso.

Mi piace pensare che non si sia trattato del drammatico esito di una grave depressione, ma del coraggioso ed entusiasta gesto di un pesce che si è stufato di vedere le cose da un solo punto di vista, di avere una visuale sempre uguale, di avere attorno i soliti riferimenti, uguali tutti i giorni e ha cercato di vedere cosa succede uscendo dai suoi schemi di riferimento abituali. L’ho immediatamente ribattezzato “Indiana”, l’esploratore…

Marketing manager eventualmente capitati su questo post, voi non avete le branchie, magari cambiare il vostro approccio alla comunicazione non sarebbe un rischio così tremendo… Chi di voi è Indiana ?

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Innovation greetings (Duracell blues)

Recentemente ho visto, credo per la duemillesima volta, uno spot Duracell che ci ricorda come le pile alcaline durano fino a 4 volte più delle pile zinco-carbone; un’argomentazione di vendita davvero convincente…

Se non fosse per il fatto che se volete vedere una pila zinco-carbone dovete prenotare una visita guidata al Museo della Scienza e della Tecnica; prossimamente credo che verranno esposte anche al Museo di Storia Naturale, costituendone una delle più significative attrazioni.

Insomma, immaginate se oggi la pubblicità di un’automobile tentasse di convincervi all’acquisto proclamando che inquina e consuma fino a 10 volte meno di una Fiat 850.

Questo piccolo esempio mi sembra una delle tante facce della pigrizia mentale di un certo marketing e del sacro terrore di innovare la propria comunicazione, nelle forme come nei contenuti.

E’ un’esperienza che abbiamo spesso fatto anche nelle Relazioni Pubbliche, dove cambiare temi, strumenti e modalità della comunicazione, affrontando a volte “territori” inesplorati, ha comportato sì uno sforzo dell’azienda, ma ha portato risultati davvero eclatanti sia in termini quantitativi (misurati) che in termini qualitativi.

E mi ha anche fatto venire in mente l’amico Maurizio Goetz, che da tempo si “sgola” sul suo blog proprio sui temi dell’innovazione della comunicazione.

Quindi lasciatemi fare a Maurizio e a tutti noi un augurio per un 2006 decisamente innovativo.

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Blogauguri

Non so se posterò ancora qualcosa prima di Natale, ma per non sbagliare…

Auguri di cuore a tutti i lettori di questo blog e ai loro cari !

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Il tempo passa ("As time goes by" blues)

Sollecitato da un post di Gaspar Torriero, che ricordava commosso il suo primo PC , ho ricordato (altrettanto commosso) il mio.

Trattavasi (se non vado errato era il 1987) di un Amstrad PC1640 ECD. Pilotato da un impressionante processore 8086 dalla sconvolgente velocita di clock di ben 8 MHz , e RAM di 640 K, il computer in oggetto era dotato di un disco rigido di ben 20 Mb. Naturalmente disponeva anche di un driver per i floppy da 5 pollici e un quarto (capacità 360K). Ma la caratteristica di punta era la grafica. Cito il depliant: “Con il suo video a colori avanzato a 350 linee e con una tavolozza di ben 64 colori (…) La altissima definizione dalla sorprendente densità di 640 x 350 punti …”

Scusate, corro a prendere un fazzolettino per asciugarmi le lacrime…

Ah, il potere dei ricordi….

Sarà il Natale.

P.S. : la macchina in questione costava all’epoca 2.599.000 lirette +IVA

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It’s always Christmas time for VISA… (Consumer blues)

Davvero interessante il “viral” (questo sì che ci piace… altro che Ricola !) segnalato da B.L. Ochman. Si tratta di un cartone animato con tanto di canzoncina, a sostegno di una campagna della Consumers Union per l’approvazione, da parte del parlamento americano, di una legge che protegga i consumatori da certe poco simpatiche “offerte” natalizie delle carte di credito, che rischiano di lasciare in mutande i poco accorti clienti che ne approfittano. Oltre al filmato (che trovate qui), e alle liriche della canzone (da leggere qui) il sito offre un form con un messaggio da inviare al “proprio” deputato per sollecitare la risoluzione del problema.

Mi domando quanto potrebbe funzionare una cosa del genere in Italia….

Un breve estratto della canzone… tanto per capirci.

It’s always Christmas time for Visa
Mastercard gets presents every day
Our interest rate just went to 29 percent
Even though we’ve never failed to pay
It’s always Christmas time for Visa
An American Expression of good cheer
The payments that we’re making are the gift that keeps on taking
And leaves us buried deeper every year

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Cough Marketing (Ricola "viral" Blues)

Beh, non so dare torto a BL Ochman, che dal suo blog esprime tutto il suo disgusto per una campagna messa in piedi da Ricola negli Stati Uniti per la sua linea di caramelle.
Il concorso prevede che si debba dare la caccia a un “tossitore” (non saprei come altrimenti chiamarlo) che spargerà i suoi germi in nome e per conto della Ricola presso luoghi sufficientemente affollati, allo scopo di permettere ai cacciatori iscritti di offrirgli una caramella Ricola e vincere sino a un milione di dollari. Va bene essere creativi col marketing “virale”, ma davvero, qualche volta ragionare su quello che si mette in piedi non guasterebbe… Non oso pensare cosa accadrebbe se l’ideatore di questa campagna lavorasse per un produttore di carta igienica….

Il sito del concorso Ricola

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Un paio di segnalazioni al volo..

Avendo approfittato dell’opportunità del “ponte”, ed essendo attulamente a totale disposizione dei mie clienti più esigenti (pargoli), sfrutto indegnamente il lavoro altrui e vi segnalo alcune brevissime ma stimolanti letture :
Maurizio Goetz: Sporcarsi le mani con l’interattività
Mauro Lupi : La percezione dei search marketers
Joel Ceré: The consumerist

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Does Your Company Belong in the Blogosphere? (Harvard blues)

La domanda che ho scelto come titolo delle riflessioni di oggi non è stata provocatoriamente posta da un blog-guru, non è un post del “solito” Seth Godin.
Nossignori, la domanda di cui sopra viene posta alle aziende di tutto il mondo da Harvard.

Ebbene sì, è il titolo di un articolo pubblicato nientepocodimenochè sul sito della Harvard Business School e sulla Harvard Management Communication Letter. Sì, Harvard, proprio la mitica università americana, la sancta sanctorum delle business school, un simbolo.

E cosa ci racconta la gentile Katherine Heires, redattrice dell’articolo ?

“Bloggers have damaged a number of companies, but it’s time to think of the blog as your friend. Skillful blogging can boost your company’s credibility and help it connect with customers”

Capito ? Se ne sono accorti anche ad Harvard. Chissà se i duri d’orecchi intenderanno…

Ma vediamo rapidamente le considerazioni principali offerte da Katherine, che dopo aver fatto una breve panoramica sugli esempi più noti di corporate blogging (General Motors, Sun Microsystems, Boeing, Google, Hewlett-Packard, IBM, Microsoft, Red Hat, Edelman, Stonyfield Farm, Yahoo, etc etc), puntualizza quanto segue :

“…. blog is an incredibly effective yet low-cost way to:

* Influence the public “conversation” about your company: Make it easy for journalists to find the latest, most accurate information about new products or ventures. In the case of a crisis, a blog allows you to shape the conversation about it.

* Enhance brand visibility and credibility: Appear higher in search engine rankings, establish expertise in industry or subject area, and personalize one’s company by giving it a human voice.

* Achieve customer intimacy: Speak directly to consumers and have them come right back with suggestions or complaints—or kudos.”

Chiaro ?

Ma c’è un altro punto su cui mi preme soffermami. Ed è una raccomandazione che proviene da Debbie Weil, fondatrice di BlogWrite for CEOs.

Dopo aver chiarito che “If you’re not blogging, you’re missing out on the chance to contribute to the conversation taking place in the blogosphere” e ricordato che una ricerca Euro RSCG Magnet / Columbia University del 2005 ha mostrato che il 51% dei gionalisti legge regolarmente i blog, aggiunge:

“Don’t let the PR department write your blog. Bloggers will sniff it out, and when they do, you will lose all credibility”

Sono assolutamente d’accordo.

Il ruolo dell’agenzia di relazioni pubbliche (o del responsabile della comunicazione aziendale) deve essere “esterno”, deve aiutare a progettare il blog, chiarire i suoi scopi, educare chi dovrà scriverlo circa le dinamiche di gestione delle conversazioni, etc etc. Ma i blog totalmente affidati a un ghost-writer per me sono assimilabili ai fake-blog che ho già commentato più volte.

E ora un po’ di link per approfondire:

L’articolo su sito dell’Harvard Business School

BlogWrite for CEOs

Il blog di Jonathan Schwartz

Il blog di Randy Baseler, vice president marketing in Boeing

I blog di Stonyfield Farm, azienda che vende cibi “naturali”, una case history citata nell’articolo.

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Viene quasi da ridere… (Sony BMG blues part 3)

Se non lo avessi letto su Punto Informatico avrei pensato a qualche burlone…
Non c’è davvero fondo al “pozzo” di cui scrive PI. Notate che si è mosso l’ufficio del procuratore generale di New York, Eliot Spitzer. E da noi che succede ? Qualcuno ha notizie ?
A proposito, nessun commento dai signori di Forbes ? ” Web logs are the prized platform of an online lynch mob spouting liberty but spewing lies, libel and invective.” Davvero ?

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