Martellate sulle dita (PR crisis blues)

La recente storia della Sony BMG e del software nascosto nei PC è davvero istruttiva, e non solo per l’aspetto relativo alla gestione della crisi dal punto di vista della comunicazione.

Ma andiamo con ordine.

Brevemente: Sony BMG, allo scopo di impedire la copia della musica pubblicata sui propri CD, ha fatto in modo che se un CD viene ascoltato attraverso un computer, automaticamente e in modo totalmente nascosto, viene installato un software che impedisce la copia. Ma non basta. Il software in questione contiene del codice davvero “maligno”, nel senso che accede al sistema operativo e si nasconde alla vista del proprietario del PC. Insomma agisce come un vero e proprio virus. Non male, vero ? Tralasciamo in questa sede la questione dei diritti di copiare per uso personale la musica regolarmente acquistata. (evito di acquistare CD protetti contro la copia…) e proseguiamo nella disamina di questa “case history”.

Innanzi tutto se volete un resoconto più approfondito sull’accaduto lo trovate qui.

Ma andiamo avanti.

Come era logico aspettarsi, anche gli informatici ascoltano musica, (in Sony BMG non lo sanno …) e il giochino è stato svelato da Mark Russinovich, un esperto di problemi di sicurezza, e ha fatto il giro della Rete alla velocità della luce. ( in Sony BMG ovviamente non sanno cos’è la blogosfera)

E Sony BMG ? Colta in flagrante, ha tentato un “mezzo” passo indietro, ovvero ha offerto sul proprio sito una patch software da installare sui computer “infettati” . Un secondo errore: in realtà il software continua a funzionare e viene solo reso visibile. Come era ovvio il buon Mark ha esaminato la patch e l’ha scoperto immediatamente. Adesso si attende un vero uninstaller che elimini completamente il software. Ovviamente Mark lo attende al varco…

Gli errori compiuti dalla Sony BMG sono così tanti e così gravi che riesce difficile analizzarli.

La sola idea di partenza, ovvero installare un software in modo subdolo, fa inorridire. Trasmette una brand experience che fa paura, perchè non si tratta solo della questione relativa ai diritti sulla musica. Questo episodio trasmette forte e chiaro il messaggio che Sony (e dico “Sony” e non “Sony BMG” ) è un’azienda disposta anche a ingannare i propri clienti se ritiene sia suo interesse farlo. Ma anche il secondo passo è un errore marchiano: chiarito che c’è chi sa analizzare il proprio computer in modo professionale, come si può pensare che anche la patch non sarebbe stata analizzata a fondo (e questa volta non solo da Mark, visto che la faccenda era nota a qualche milione di persone sparse per il globo … )

Morale: se le aziende avessero a disposizione dei veri consulenti per la propria comunicazione e imparassero a confrontarsi con loro prima di prendersi a martellate sulle dita, storie come queste non potrebbero accadere.

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Non sono il solo… (koala blues)

Casomai qualcuno pensasse che sono io il solo a ritenere che la pessima reputazione delle PR presso le aziende dipende dalla presenza sul mercato di un discreto numero di operatori improvvisati / incompetenti / disonesti , beh, si sbaglia.
Dall’altra parte del mondo, in Australia, c’è chi la pensa esattamente come me.

Robert Beerworth di Wiliam , una web agency di Sidney, commenta così :

“….Either way, the PR industry has nobody but itself to blame for failing to educate more broadly on its value and benefits, for failing to develop standards for measuring performance, past counting column inches, and for continuing to set unrealistic expectations in the minds of businesses. Please don’t get me wrong: public relations most certainly has a role to play in the marketing and communications mix, but the time has come for PR firms to tell us why and how, rather than merely labouring the follies of discounting PR.”

Il buon Robert cita poi i commenti di un columnist dell’Australian Financial Review, tale Neil Shoebridge. Anche qui vale la pena di dare un’occhiata: “….If marketers knew that most PR firms are staffed with people who do not know or care what represents a newsworthy story and rarely have any idea about the audiences of the different media they are pitching stories to, they would quickly realise that they should be handling their media relations themselves.”

Oggi mi sento un po’ koala..

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Segnalazione al volo

Vi invito a fare un giro sul blog di Mike Manuel e leggervi questo post sullo stato del mercato delle relazioni pubbliche e su ciò che un’agenzia di PR deve fare oggi. Uno spunto di riflessione interessante.
Un primo commento a caldo: mi piacerebbe tanto pensare che chi non da’ valore aggiunto sarà espulso dal mercato, ma non ci credo nemmeno io…..

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I fantasmi della blogosfera (fake blogs blues)

Devo dire che davvero non mi piacciono e non mi convincono.
Parlo dei fake blog, ovvero blog gestiti più o meno (spesso meno) palesemente dalle aziende, dove i geniali marketer (spesso purtroppo le agenzie di relazioni pubbliche) si “inventano” un blogger “virtuale”, un entusiasta dei prodotti dell’azienda, che ne sarebbe così invaghito da creare un blog per sostenerli e propagandarne le eccelse qualità. Davvero mi infastidiscono. Il motivo per cui li trovo sbagliati è molto semplice: sono basati su un trucco, una finzione che snatura alla base l’essenza conversazionale dei blog.

Molto meglio gestire il blog (se proprio se ne sente la necessità) attraverso un rappresentante dell’azienda o un personaggio che sia di riferimento rispetto alla comunità con cui si vuole entrare in contatto. Ma senza che l’azienda si “nasconda”

Un esempio molto poco convincente di questo utilizzo dei blog è venuto recentemente dalla Panasonic. Ne parla qui Amy Gahran.

Avevo affrontato l’argomento anche qui e qui

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Forza Steve !

Steve Rubel, l’autore di Micro Persuasion, una delle mie fonti predilette, ha scoperto di essere affetto da un tumore della pelle. Per fortuna pare si tratti di una forma assolutamente curabile che non causerà sconvolgimenti nel suo stile di vita.

Ma Steve ha immediatamene tratto da questa esperienza alcune riflessioni e conseguenze, che riporto qui di seguito:

“Each year some 800,000 Americans are diagnosed with this kind of skin cancer. Much of it is preventable if you take care to protect yourself from the sun’s harmful rays. Like many, I pooh-poohed the warnings. These included both regular words of caution from the media and those close to me. One of my favorite pastimes was sitting in front of a Starbucks, reading books or listening to podcasts and soaking up the sun. I neglected to wear sunscreen or a hat, even though I am follicly challenged. Now I am paying the price.

It’s clear from the statistics that many people still don’t take the risk of skin cancer seriously enough. Perhaps they need to hear more about it in a human voice – a blog voice. I recognize that I can help here (or at least try to). I have a blog with 5,000+ daily readers as well as a significant media profile. I am in a position to help in ways others can’t. I can do greater good. If one person starts wearing sunscreen regularly because of what they read here then I have done my job.

With this in mind, I am launching a new blog called The Skin Cancer Blog (www.skincancerblog.net). Here I plan to not only track my progress (which hopefully will go quickly), but more importantly provide links to helpful information and stories from others. I am sure once the site is up we will hear from many others who have experienced the same or worse. Once it’s live, I will blog it here and I would appreciate any link love that bloggers are willing to provide it. Please link on the words skin cancer so that it begins to get some Google Juice and ranks highly on the right searches. Beyond the occasional post, this blog will not deviate from its regularly scheduled programming and I plan to continue the same pace.

Thank you for listening and for your support. – Steve “

Credo che la reazione di Steve ad una esperienza scioccante come questa e il suo immediato e “naturale” desiderio di utilizzare il blog come strumento di condivisione dell’ esperienza e di informazione (sia per chi è affetto da tumori simili, sia sulla prevenzione), costutuisca uno spunto di riflessione davvero interessante e coinvolgente.

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Eh, no, non ci sto !

Vi rimando al post di Carlo Odello e al mio commento di risposta sulle PR e sul ruolo delle agenzie.

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E intanto il corporate blogging …

Mentre nel mondo delle relazioni pubbliche e del marketing (almeno dalle nostre parti) si discute alacremente dei pro, dei contro, dei se, e dei ma, dall’altra parte dell’oceano pare che le aziende considerino il blogging un’attività ormai “matura” per l’utilizzo corporate.

Nel corso del BlogOn 2005, tenutosi a New York settimana scorsa, sono stati presentati e discussi i dati del BlogOn 2005 Social Media Adoption Survey. L’evento era organizzato da Guidewire Group, una società di ricerca focalizzata sulle tecnologie emergenti.

Allora, innanzi tutto, secondo la ricerca, il 55% delle corporation sono già impegnate sul fronte del blogging. Di queste il 91,4% utilizza i blog sul fronte dell’internal communication e il 96,6 per comunicare verso l’esterno dell’azienda. Va sottolineato che più di metà ha lanciato i blog l’anno scorso.

Mike Sigal, CEO di Guidewire, sottolinea che si tratta naturalmente di un fenomeno molto recente: “Credevamo di essere ancora in una fase iniziale della curva di adozione, ma in realtà siamo già in una zona di impennata della curva”

E le aziende che ancora il blog non ce l’hanno ? In ogni caso, il 70% considerano in modo positivo l’ipotesi di buttarsi nella blogosfera, con un 7% che intende partire immediatamente e un 13% che lo farà entro fine anno.

4 su 5 delle aziende che usano i blog sul fronte interno, lo fanno per migliorare la comunicazione interna, e una su tre anche per rimpiazzare l’utilizzo dell’email col blog, un dato davvero interessante.

Per quanto concerne i blog dedicati alla comunicazione verso l’esterno dell’azienda, il 61% dichiara di utilizzarlo nell’ambito del programma di relazioni pubbliche (sapete, gli americani usano avere un programma di relazioni pubbliche…) e in relazione a progetti di marketing e “demonstration of thought leadership”, ovvero per attività legate al posizionamento e alla reputazione nell’ambito del proprio mercato.

Ben il 40% della aziende intervistate ha un CEO che blogga: una percentuale davvero impressionante.

Sigal ha anche sottolineato un altro dato molto interessante: “Spesso pensiamo che una tecnologia emergente sia adotatta prima di tutto da startup e vendor del mondo della tecnologia, ma la distribuzione del fenomeno che abbiamo rilevato ci ha davvero sorpresi.” Tra le “blogging companies” ci sono infatti aziende del mondo dell’advertising, del marketing, produttori di elettronica e computer, ma anche banche, aziende petrolifere , trasporti e altre ancora.

Sottolineo che anche il buon Sigal ribadisce un concetto che ho lanciato più volte da questo blog: ” La questione più importante circa il blogging al di fuori dell’azienda è comprendere il cambiamento culturale che implica, e la perdita di controllo del messaggio corporate. L’azienda deve essere pronta a cominciare un dialogo reale col mercato, e non più a gestire una conversazione a senso unico”

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Occhio al trend

PR Week ha pubblicato un’interessante panoramica su quelli che ritiene i trend più significativi del mondo dei media.

Accanto ad alcuni temi tipicamente statunitensi, (come l’esplosione dei media ispanici o i “celebrity weeklies”) sono commentati alcuni aspetti di interesse generale, come (guarda un po’) i blog e il loro rapporto con le relazioni pubbliche. Se non volete leggervi tutto l’articolo, vi propongo qui di seguito il paragrafo dedicato alla blogosfera.

Da sottolineare la frase conclusiva di Ray Kerins, che mette a fuoco un aspetto su cui mi sono più volte soffermato: “Every client is not appropriate to have blogs.”

Blogs

In the past couple of years, blogs have grown from an outlet for tech-savvy geeks to something that has reached an almost mainstream level. Indeed, corporations and even media outlets are making blogs part of their marketing strategies. They reached news-breaking entity status when a group of bloggers debunked Dan Rather’s report on President Bush’s National Guard service.

Although they’re considered valuable outlets for marketers – especially PR practitioners – to monitor, Lloyd Trufelman, president of Trylon Communications, says blogs will eventually just be integrated into the media mix, rather than remain a standalone entity.

“Now blogging is becoming very simple and very pedestrian,” he says. “I don’t know how many of these blogs will exist as viable economic [entities]. If a blog is going to exist as a commercial enterprise, it’s going to have to track to the same economic rules that govern all other forms of media.”

Mark Weiner, CEO of Delahaye, agrees that the excitement over blogs will settle down, although incidents where blogs break mainstream news will cause periodic spikes in interest. But for the most part, blogs’ influence over a large segment of the population appears to be limited.

“We see that, except for a small handful of influential, opinion-leading blogs, for the most part bloggers are people who have an interest in something and are speaking to [those] people who share that interest,” Weiner says.

Going forward, PR practitioners need to be mindful of the blog’s place in a client’s communication strategy, says Ray Kerins, EVP and managing director of corporate communications and media relations at GCI Group. “Every client is not appropriate to have blogs,” he says.

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Blog dirt (Low marketing blues)

Beh, questa storia vale davvero la pena di leggerla e commentarla.

E’ la summa di quello che ho scritto in tema dell’utilizzo del blog come strumento di marketing e degli errori da evitare.

Riassumo molto brevemente: c’è un prodotto per la pulizia della casa di una grande azienda multinazionale. L’ agenzia di PR che gestisce la comunicazione del prodotto (a sua volta una agenzia “globale” con uffici in tutto il mondo) ha la brillante idea di creare un blog gestito da un fantomatico personaggio, tale Barry Scott, che terrebbe, pensate un po’, il blog personale per dedicarlo a un detergente… Ma il problema non è nemmeno questo…

Perchè il team che stava dietro a questo progetto ha avuta la stratosferica pensata di spammare commenti su blog ritenuti molto frequentati, per inserire il link e creare traffico. Ma ancora non basta.

Hanno avuto la incommensurabile idea di infilare i commenti spam persino su un post dove l’autore raccontava di una esperienza personale estremamente delicata come il fatto di essere rientrato in contatto con il padre per la prima volta dopo quasi 30 anni.

La storia è che, dopo una faticosa indagine, l’autore del blog spammato ha identificato azienda e agenzia, e il team che gestiva la faccenda ha dovuto inviare una pubblica lettera di scuse.

Da non credere.

Per approfondire (ve lo consiglio):

Il post di denuncia di Tom Coates

Le scuse del team di Cillit Bang

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Cambiamenti ignorati. (Communication Relax blues)

E’ vero: quando non si sa come reagire a un cambiamento, la strategia più diffusa è ignorare il cambiamento. (se di “strategia” si può parlare…)

Il cambiamento su cui vorrei brevemente soffermarmi è evidente, così come eclatante è il fatto che viene accuratamente ignorato.

Il dato di fatto è questo: i consumatori sono sempre meno disposti a prestare attenzione alla pubblicità tradizionale e ripongono sempre più fiducia nei cosiddetti “consumer-generated-media” (CGM) e nelle raccomandazioni di altri consumatori.

Una recente ricerca Intelliseek sottolinea come, rispetto all’anno passato, i consumatori siano del 50% più disponibili ad essere influenzati dalle raccomandazioni “word-of-mouth”. Il CEO di Intelliseek, Mike Nazzaro, avverte che il panorama della comunicazione pubblicitaria sta cambiando, costringendo i marketer a allargare e ridefinire i concetti di media, di influenza e di “audience reach”. Se i “consumer generated media” stanno assumendo un ruolo così significativo, è assolutamente necessario che i marketer comincino a misurare, gestire e influenzare questa area e, altrettanto importante, a affrontare situazioni in cui i consumatori esprimono pubblicamente pareri negativi sui brand.

Vi siete agitati ? Vi sembra un fatto rilevante ?
Tranquilli.
Rilassatevi.
Non se ne è accorto praticamente nessuno.
Se proprio non avete niente di meglio da fare, potete dare un’occhiata qui, ma non c’è fretta… davvero.

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