Il crisis management è un’area delle Relazioni Pubbliche di cui si parla francamente troppo poco, e di cui forse le aziende si preoccupano un po’ pochino.
Il crisis management, a dire il vero, non è un aspetto di cui si devono occupare solo i comunicatori, (cosa diciamo ai giornalisti che chiamano per sapere cosa è successo) ma abbraccia aspetti cruciali dell’organizzazione aziendale. In sostanza un piano di crisis management dovrebbe prevedere chi fa cha cosa e chi prende decisioni critiche in risposta ad un evento eccezionale negativo.
Esempio: la ditta FerroBello produttrice di ferri da stiro, scopre che una partita di cavi di alimentazione è difettosa e potrebbe persino causare incidenti anche gravi ai consumatori. L’atteggiamento di risposta potrebbe anche essere quello di far finta di niente, e pregare che non succeda nulla, per la paura (sbagliata) di rovinare l’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti o anche per evitare le spese connesse alla gestione del problema; in passato ci sono stati casi eclatanti e gravissimi, per esempio nell’industria automobilistica americana, o, più vicini a noi, casi di aziende che scoprono problemi di sicurezza sul lavoro ma fanno finta di niente.
Al di là del giudizio etico che, spero, sorge immediatamente in tutti noi, anche una valutazione fredda e “asettica” mostra che negare le crisi è un suicidio, sempre e comunque. I problemi non spariscono negandoli: sembra davvero una banalità, ma non è così.
Ma FerroBello ?
Sulla base di quanto stabilito dal piano di crisis, appena fatta la scoperta il direttore acquisti di FerroBello segnala il problema al fornitore dei cavi e blocca le partite difettose eventualmente pronte per andare in produzione per ulteriori controlli; il direttore della produzione individua i lotti a rischio e le date in cui sono uscite dalla linea; il direttore vendite di FerroBello attiva subito una ricerca per individuare i rivenditori a cui sono stati spediti i ferri , e invia le informazioni necessarie ai responsabili di area interessati perchè si attivino per informare i rivenditori e bloccare in negozio i prodotti ancora presenti, predisponendo l’immediato ritiro. Se si scopre che i ferri sono stati venduti scatta l’operazione annuncio sui quotidiani nazionali e locali, che, utilizzando dei modelli standard preparati in precedenza, devono, senza creare panico, comunicare l’entità del rischio, permettere ai consumatori di individuare i prodotti pericolosi e indicare cosa devono fare.
Sembra facile ? Beh, non lo è. Anche da questo esempio, semplificato e incompleto, potete capire che l’organizzazione aziendale e i rapporti tra le funzioni vengono messi a dura prova, e se non c’è almeno una traccia condivisa di comportamento, la frittata è assicurata. Occorre poi che l’azienda tutta operi sempre e comunque in modo da poter avere in qualsiasi momento le informazioni che servono a bloccare il problema (tracciabilità e compagnia bella)
E la comunicazione ?
Innanzi deve esistere un portavoce autorizzato (l’unico) che si interfaccia con i giornalisti in queste occasioni; l’azienda deve offrire “una” versione e controllarla.
E quali regole ?
Beh, ovviamente si possono stilare vari decaloghi, ma una regola generale credo sia sufficiente a inquadrare il problema: non negare la realtà. Vi ricordate Coca-Cola di qualche anno fa ? Le bottiglie contaminate ? Un disastro. Un manuale di comunicazione alla rovescia.
Quando si sa che qualcosa è successo è stupido negarlo.
E se non si sa se qualcosa è successo, non si nega a priori, si prende tempo e si indaga per capire, il più rapidamente possibile.
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