Memento (A blog manifesto ?)

A powerful global conversation has begun. Through the Internet, people are discovering and inventing new ways to share relevant knowledge with blinding speed. As a direct result, markets are getting smarter-and getting smarter faster than most companies.

These markets are conversations. Their members communicate in language that is natural, open, honest, direct, funny and often shocking. Whether explaining or complaining, joking or serious, the human voice is unmistakably genuine. It can’t be faked. Most corporations, on the other hand, only know how to talk in the soothing, humorless monotone of the mission statement, marketing brochure, and your-call-is-important-to-us busy signal.

Same old tone, same old lies. No wonder networked markets have no respect for companies unable or unwilling to speak as they do.

Ve lo ricordate ? Sono le prime frasi del Cluetrain Manifesto (1999).

Da incidere nel granito.

Uno stimolo inesauribile per tutti i comunicatori, B2B, B2C e A2A (Anyone to Anyone)

Credo che poche cose scritte in quel periodo abbiano conservato validità e freschezza come questo documento.

Rileggere quelle 95 tesi può fare solo del bene.

Ne prendo una a caso: There are no secrets. The networked market knows more than companies do about their own products. And whether the news is good or bad, they tell everyone.

Non so perchè, ma qua e là, non sentite un fortissimo profumo di blog ….?

Per rinfrescarsi memoria e idee: cliccare qui prego

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Oddio ! E adesso ? (Crisis blues)

Il crisis management è un’area delle Relazioni Pubbliche di cui si parla francamente troppo poco, e di cui forse le aziende si preoccupano un po’ pochino.

Il crisis management, a dire il vero, non è un aspetto di cui si devono occupare solo i comunicatori, (cosa diciamo ai giornalisti che chiamano per sapere cosa è successo) ma abbraccia aspetti cruciali dell’organizzazione aziendale. In sostanza un piano di crisis management dovrebbe prevedere chi fa cha cosa e chi prende decisioni critiche in risposta ad un evento eccezionale negativo.

Esempio: la ditta FerroBello produttrice di ferri da stiro, scopre che una partita di cavi di alimentazione è difettosa e potrebbe persino causare incidenti anche gravi ai consumatori. L’atteggiamento di risposta potrebbe anche essere quello di far finta di niente, e pregare che non succeda nulla, per la paura (sbagliata) di rovinare l’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti o anche per evitare le spese connesse alla gestione del problema; in passato ci sono stati casi eclatanti e gravissimi, per esempio nell’industria automobilistica americana, o, più vicini a noi, casi di aziende che scoprono problemi di sicurezza sul lavoro ma fanno finta di niente.

Al di là del giudizio etico che, spero, sorge immediatamente in tutti noi, anche una valutazione fredda e “asettica” mostra che negare le crisi è un suicidio, sempre e comunque. I problemi non spariscono negandoli: sembra davvero una banalità, ma non è così.

Ma FerroBello ?

Sulla base di quanto stabilito dal piano di crisis, appena fatta la scoperta il direttore acquisti di FerroBello segnala il problema al fornitore dei cavi e blocca le partite difettose eventualmente pronte per andare in produzione per ulteriori controlli; il direttore della produzione individua i lotti a rischio e le date in cui sono uscite dalla linea; il direttore vendite di FerroBello attiva subito una ricerca per individuare i rivenditori a cui sono stati spediti i ferri , e invia le informazioni necessarie ai responsabili di area interessati perchè si attivino per informare i rivenditori e bloccare in negozio i prodotti ancora presenti, predisponendo l’immediato ritiro. Se si scopre che i ferri sono stati venduti scatta l’operazione annuncio sui quotidiani nazionali e locali, che, utilizzando dei modelli standard preparati in precedenza, devono, senza creare panico, comunicare l’entità del rischio, permettere ai consumatori di individuare i prodotti pericolosi e indicare cosa devono fare.

Sembra facile ? Beh, non lo è. Anche da questo esempio, semplificato e incompleto, potete capire che l’organizzazione aziendale e i rapporti tra le funzioni vengono messi a dura prova, e se non c’è almeno una traccia condivisa di comportamento, la frittata è assicurata. Occorre poi che l’azienda tutta operi sempre e comunque in modo da poter avere in qualsiasi momento le informazioni che servono a bloccare il problema (tracciabilità e compagnia bella)

E la comunicazione ?

Innanzi deve esistere un portavoce autorizzato (l’unico) che si interfaccia con i giornalisti in queste occasioni; l’azienda deve offrire “una” versione e controllarla.

E quali regole ?

Beh, ovviamente si possono stilare vari decaloghi, ma una regola generale credo sia sufficiente a inquadrare il problema: non negare la realtà. Vi ricordate Coca-Cola di qualche anno fa ? Le bottiglie contaminate ? Un disastro. Un manuale di comunicazione alla rovescia.
Quando si sa che qualcosa è successo è stupido negarlo.
E se non si sa se qualcosa è successo, non si nega a priori, si prende tempo e si indaga per capire, il più rapidamente possibile.

 

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Il blog come nuova opportunità per le PR: un esperimento

Ho letto con interesse il lungo post pubblicato su Blog Help dedicato al blogging e al suo rapporto con lo spam, sia email che quello, ahimè, già pronto per invadere la blogosfera (anche se già esistono delle contromisure, come quella adottata per esempio su IMlog che prevede l’immissione di un numero generato ad hoc al momento dell’invio del commento) .

Ma volevo soffermarmi sulla questione dell’utilizzo delle stringhe RSS come alternativa, in relazione a specifici obbiettivi di comunicazione, all’email.

Posto che ovviamente non si può pensare ad un processo di “sostituzione” dell’email, non c’è dubbio che, in generale, la stringa RSS sia un metodo di trasmissione dei contenuti che si presenta molto meno “invasivo” dell’e-mail. Anche la volontarietà della sottoscrizione e la facilità con cui si può cancellare la sottoscrizione sono sicuramente aspetti qualificanti.

Credo in particolare che l’utilizzo della tecnologia RSS possa in molti casi costituire una valida alternativa alle newsletter. La newsletter per sua natura, viene spesso accantonata e letta in un momento più appropriato. Qui il sistema delle stringhe RSS e dei feedreader mi sembra perfettamente in linea con gli obbiettivi che dovrebbe porsi una newsletter.

Ecco che il blog, visto in questo specifico contesto come pura tecnologia, offre una nuova opportunità ai comunicatori.

Proprio in questi giorni abbiamo attivato, per i clienti nell’agenzia dove lavoro, un nuovo servizio sperimentale basato sulla tecnologia del blog e delle stringhe RSS, utilizzati come mezzo di distribuzione dei contenuti verso giornalisti e clienti.

In sostanza il giornalista che sottoscrive la stringa, si trova a disposizione sia i comunicati e le news emessi per conto dei clienti, sia una serie di rimandi ad articoli, approfondimenti, ricerche e opinioni autorevoli relativi agli scenari in cui i clienti dell’agenzia operano. Insomma, lo sforzo è stato quello di trovare un modo per offrire valore aggiunto, essendo il solo flusso dei comunicati stampa non sufficiente a giustificare l’utilizzo del blog. Inoltre i rimandi agli approfondimenti sul mercato possono costituire contenuti interessanti per i clienti stessi.

Ripeto, si tratta di un esperimento in corso di valutazione e affinamento, ma credo che la strada sia corretta. Vi terrò aggiornati sulle reazioni.

Se volete dargli un’occhiata cliccate qui per il canale B2B, da cui poi si accede agli altri due “canali tematici” Consumer e Canale.

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"Step away from the keyboard !" (reputation blues)

Il fermo invito viene rivolto da Lisa Poulson, ed è rivolto alle agenzie di relazioni pubbliche che si stanno agitando studiando il modo migliore per catapultare su un bel blog una azienda e/o il suo CEO.

Mi sembra un invito molto sensato. L’argomentazione chiave svolta dalla Poulson riguarda il significato, i presupposti e il valore della credibilità e della reputazione di una azienda e del suo CEO, posto che si può ritenere, come affermano alcune ricerche, che il 50% della credibilità di una azienda sia il riflesso diretto della credibilità personale del suo CEO.

Costruire e sostenere la propria credibilità nella comunicazione è un processo lungo e irto di difficoltà, ed esige un comportamento che si richiami costantemente ad una serie di principi di base, come, ad esempio, essere sempre il primo ad ammettere e correggere i propri errori o affermazioni errate, accettare e rispettare opinioni contrarie, essere chiari e onesti sui motivi per cui non si può discutere di un certo argomento, etc etc.

Se un’azienda o il suo CEO non sono preparati ad affrontare questo impegno, meglio farsi da parte e attendere.

Warren Buffett uno dei più celebrati “guru” del mondo finanziario americano, disse un giorno “If you lose dollars for the firm by bad decisions, I will be understanding. If you lose reputation for the firm, I will be ruthless.”

Il ragazzo la sa lunga.

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CRM blues

Mah, certo che la curiosità è grande.

Quanto mi piacerebbe poter mettere il naso nella sofisticata soluzione CRM di Vodafone, il mio carrier telefonico da quando uso un cellulare.

Poter scoprire i suoi sicuramente affascinanti meccanismi di analisi e correlazione, le sue complesse funzionalità che disegnano, sulla base della mia storia di cliente, nuove offerte e irrinunciabili servizi.

Sì sarei davvero curioso, perchè non più di mezz’ora fa una solerte operatrice Vodafone (o chi per Vodafone) mi ha chiamato in ufficio, per poter fissare un appuntamento con un loro funzionario di vendita, che mi avrebbe esposto i meravigliosi vantaggi che la nostra azienda avrebbe tratto dal divenire un cliente Vodafone.

Quasi quasi fissavo l’appuntamento, ma poi ho pensato che fosse giusto avvertirla che la nostra azienda dispone di una rete mobile Vodafone da due anni e mezzo.

Poverina, chissà come l’ho delusa….

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Sounding the alarm on PR (sveglia blues)

Ma guarda ! E io che qualche volta ho pensato di esagerare, di vedere l ‘immagine delle Relazioni Pubbliche peggiore di quello che in realtà è, e per di più di lavorare comunque in un mercato particolarmente “depresso” e scarsino quanto a qualità dei servizi e competenza generale rispetto ad altri paesi, soprattutto del mondo anglosassone .

E invece… pare sia così anche negli Stati Uniti, la patria stessa delle PR. Sì, anche lì, proprio come qui, da non credere.

Sarah Lacy, giornalista del BusinessWeek Online’s Silicon Valley bureau ci racconta di un mondo (quello delle PR) popolato da agenzie, magari dai nomi altisonanti, che al momento di prendere i clienti ti fanno vedere Vice President e Senior Consultant come se piovessero dal cielo, e, dopo, gestiscono l’account con un junior (niente contro i junior, ma ognuno ha il suo ruolo e la sua competenza). E che dire di quegli account che hanno la deliziosa abitudine di perseguitare senza tregua i giornalisti perchè pubblichino una storia che non ha nulla per essere raccontata (lo chiamano “pitching”). E vogliamo parlare ancora un attimo dei comunicati stampa ? Oltre a quello di cui vi ho già raccontato circa quotation e leadership, Sarah ci conferma quanto è stufa di leggere di “leading solutions provider” e “world class”.

Un bel quadretto che dite ?

Ma io vorrei rivolgere un appello alla “sveglia” anche alle aziende che si servono delle agenzie.
Per favore, chiedetevi se la vostra agenzia ha uno straccio di strategia, se usa con competenza gli strumenti che ha a disposizione, se (almeno una volta all’anno) è realmente proattiva, misurate i risultati , in qualche modo. E se li avete misurati, e a fronte di risultati scarsi o inesistenti, il vostro solerte account vi spiega che siete un’azienda difficile da comunicare, che non ha ricevuto DA VOI i contenuti per lavorare, etc etc., beh, seguite il consiglio di Alarm:clock : Live Longer – Fire Your PR Firm !

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Ancora su blog e comunicazione aziendale

Sul blog di Joël Céré leggo i commenti ad una “provocazione” di Nick Denton (vedi articolo su CNET) il quale sostiene che i blog sono strumenti più adatti a distruggere che a costruire la reputazione di persone, brand e prodotti. Tra le osservazioni che Céré sviluppa in risposta a Denton, sottolineo il punto in cui avverte come sia dannoso (e inutile) aggiungere un blog ad un mix di comunicazione pre-esistente, senza ridisegnare o modificare opportunamente la strategia stessa della comunicazione, le linee guida e la struttura del mix.

Anche il buon Joel avverte naturalmente i pericoli di cui ho diffusamente parlato in post precedenti, e di cui qua e là cominciano ad apparire alcuni sintomi decisamente fastidiosi, come i post promo-pubblicitari… che Dio ce ne scampi.

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Blog e comunicazione aziendale: Deloitte e Yankee Group dicono la loro.

In un Report dedicato ai trend del CRM nel 2005, Deloitte predice che molte grandi aziende si accingono a usare i blog per entrare in contatto con fasce di clienti potenziali difficili da raggiungere con altri mezzi, il tutto a bassi costi incrementali.
In sostanza i blog potrebbero diventare un punto di riferimento della scuola di pensiero del word-of-mouth marketing.

Mi sembra però più appropriato il commento di Sheryl Kingstone, analista di Yankee Group.

Sheryl sottolinea come gli attuali strumento di CRM non siano assolutamente adatti a gestire e interpretare le informazioni provenienti dai blog: il CRM si fonda su dati strutturati e i blog per definizione non lo sono.

Insomma, se da una parte i blog affascinano i marketing manager per il loro enorme potenziale, dall’altro le applicazioni per la comunicazione aziendale restano piuttosto nebulose.

Come ho già sottolineato, il rischio di fare pasticci è molto elevato.

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A proposito di blog e marketing : Vespa

Un tema di grande attualità e un interessante tentativo di utilizzo dei blog.

Vespa (ovvero il mitico scooter) lancia negli USA una iniziativa in formato blog.

Qui la storia narrata da uno dei protagonisti, Steve Rubel.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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IDC è d’accordo con me.

Lo so, lo so, vi suonerebbe meglio “Sono d’accordo con IDC”.

Tuttavia, per essere precisi, ho letto solo oggi un articolo su Tekrati relativo ad una indagine IDC condotta su 1.000 IT decision maker.

A parte tutte le altre considerazioni e riflessioni sulla ricerca, per le quali vi rimando all’articolo, vorrei sottolineare il passo in cui IDC sottolinea come tra gli elementi di freno alla ripresa degli investimenti IT, ci sia una scarsa comprensione delle nuove tecnologie da parte delle aziende.

Insomma, le aziende destinatarie delle innovazioni tecnologiche non le comprendono. Sebbene bombardate da una non trascurabile massa di informazioni (o presunte tali) che giungono dalle aziende che vorrebbero vendergliele, le potenziali clienti nicchiano per mancanza di comprensione. Sono tutte stupide ?

E qui, scusate, mi posso finalmente auto-citare. Nel post Business-to-Boh Communication, in quel del 17 Marzo, sottolineavo come “…prima o poi ci si dovrebbe accorgere che il mercato non riceve e non comprende i messaggi che mi illudo di aver inviato. O no ? Se i miei clienti attuali e , soprattutto, quelli potenziali non comprendono i miei prodotti, o non li conoscono perchè non riesco nemmeno a destare la loro curiosità, non è che, magari, qualcosa non funziona ?”

Alle riflessioni che facevo nel post citato e in quello dedicato alle aziende che parlano da sole, aggiungerei un ulteriore argomento: la competenza tecnica di chi comunica al mercato le tecnologie. Non occorre essere ingegneri nucleari o programmatori: occorre capire (e poi comunicare efficacemente) cosa fa una tecnologia, dove, e perchè dovrebbe essere preferita a quelle esistenti. Banale ? A quanto pare non è così.

Sul tema si è anche intrattenuto Jim Orton sul suo blog.

Meditate gente, meditate…

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