Di ritorno dal CEBIT discutevo con un collega della diffusa incapacità delle aziende B2B di fare marketing communication. Il succo delle nostre riflessioni mi riportava dritto ad alcune delle considerazioni fatte nel mio post sulle aziende che parlano da sole.
Il fenomeno comunque non cessa di stupire: d’accordo che, come sottolineavo, è difficile valutare la propria comunicazione guardandola dall’interno, rigorosamente tappati in ufficio; ma prima o poi ci si dovrebbe accorgere che il mercato non riceve e non comprende i messaggi che mi illudo di aver inviato. O no ? Se i miei clienti attuali e , soprattutto, quelli potenziali non comprendono i miei prodotti, o non li conoscono perchè non riesco nemmeno a destare la loro curiosità, non è che, magari, qualcosa non funziona ?
Per superare l’empasse qualcuno suggerisce una “consumerizzazione” della comunicazione B2B, ovvero l’utilizzo di linguaggi e paradigmi propri della comunicazione B2C, che peraltro appare, dai dati di mercato, ovvero dai risultati, molto più efficace e convincente.
Non c’è dubbio che i produttori di cellualri o di lettori MP3 in genere sanno parlare diritto al cervello e al cuore dei loro clienti.
“Significa forse allegare ai comunicati l’immagine di una top model adeguatamente discinta, che regge la scatola del mio software ERP ?”
No, significa che occorre fare una bella capriola mentale e mettere, ma sul serio , il mio cliente e il suo modo di vedere il mondo al centro del mio modello di business. E questo significa per esempio, dal punto di vista della comunicazione, domandarsi dove il mio cliente cerca le informazioni su cui basa le sue decisioni e che tipo di informazioni vuole trovare: quelle che cerca lui, ribadisco, non quelle che io, chiuso nel mio uffico, ho deciso che dovrebbe ricevere.
Una cosina da nulla.
E’ davvero, ancora una volta, una questione di cultura di marketing. Di base.
Per capire meglio che cosa intendo dire, basta un banalissimo ma folgorante esempio che mi è capitato sotto gli occhi in questi giorni: nel mondo delle reti di comunicazione pubbliche, siamo abituati a sentir chiamare “ultimo miglio” il tratto di linea finale che raggiunge il singolo utente; sottolineo: “ultimo”.
Indovinate come lo chiamano gli americani ? “First mile”. Già, il primo, quello al centro, è il mio cliente, io, carrier telefonico, sono l’ultimo. Un giochino di parole ? Un dettaglio ? O una visione un tantino diversa ?
Vedete voi….
Avevo notato pure io questa nostra tendenza (tutta italiana) a proposito dell’e-learning.
To learn=imparare mentre noi in Italia parliamo – peraltro genericamente – di FAD=Formazione a Distanza. Gli americani quindi ‘imparano’ e noi italiani ‘formiamo’
Carmelo Cutuli