Ghost PR (Ghost Blogging Blues)

Il tema del ghost blogging (ovvero, ad esempio:  il CEO di una grande azienda “finge” di aprire un blog personale, che in realtà è scritto gestito da qualcun’altro) è stato ampiamente dibattuto su molti blog che si occupano di comunicazione e sono emerse a proposito diverse scuole di pensiero.  Approfitto della sintesi offerta dal buon Shel Holtz  per aprire un piccolo dibattito.

Ci sono coloro che dicono, in buona sostanza, che il ghost blogging è assolutamente accettabile e  non c’è nulla di cui scandalizzarsi. Il ragionamento su cui si basa questa opinione è che un buon ghost blogger può interpretare perfettamente gli obbiettivi e la personalità del personaggio in questione.  Altri sottolineano come il ghost writing sia una pratica comune nella comunicazione business, e i blog sono solo un altro tool di comunicazione e perciò non si vede perchè non si possa estendere alla blogosfera una pratica di comunicazione nota e accettata.

E qui, francamente, mi trovo perfettamente allineato con quanto invece sottolinea Shel:

“My problem is simple: Blogs aren’t just another business communication channel. In fact, blogs were created and popularized by people who were fed up with traditional business communication channels. They had had enough of fabricated quotes in press releases and speeches read by executives but written by professional speech writers. These people wanted authentic conversations with real human beings. A ghost-written executive blog is the opposite of what blogs were created for; it is counterintuitive to the 10th tenet of Christopher Carfi’s Social Customer Manifesto: “I want to do business with companies that act in a transparent and ethical manner.”

Trovo anche particolarmente rilevante un altro argomento: quello della “autenticità” del blog.  Che non è un optional, ma la sostanza del blogging. E chi pensa che sia un optional non ha assolutamente capito cos’è un blog.

Shel sottolinea anche un aspetto che mi sembra di grande peso:  quando si parla di ghost blogging in realtà si sta discutendo delle aspettative  e delle percezioni di chi legge quel blog.  Si parla, in definitiva, di reputazione.

“It doesn’t matter how noble an executive’s intentions were or how brilliantly the ghost blogger captures the executive’s intent and personality. From the public’s point of view, the unmasking of an executive who isn’t writing the blog he claims he’s writing—the one with his by-line on it—would be no different than the revelation that a pro-WalMart blog was really penned by a public relations agency (regardless of how authentic that blog sounded thanks to brilliant writing). ”

Personalmente ritengo che se il manager di una grande azienda non ha ( non trova) il tempo di curare un blog, oppure non è realmente in grado si sostenere una conversazione online, o semplicemente non ha dimestichezza con la scrittura in generale, le alternative di comunicazione non mancano, e si possono sicuramente trovare strade alternative, purchè, ripeto, trasparenti.

 

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12 risposte a Ghost PR (Ghost Blogging Blues)

  1. [m]m scrive:

    il ghost writing è semplicemente, per le dinamiche della blogosfera, troppo troppo rischioso…
    meglio nulla, piuttosto.

  2. Enzo Santagata scrive:

    Sono d’accordo con Enrico, ed in parte anche con [mini] (ormai sei un brand, anzi un lovemark. Sta cosa mi ricorda molto Eye Bee M di Paul Rand per IBM, ;) chiusa parentesi), anche se non ho ben capito cosa intendi per rischioso. Rischioso affidarsi ad un “terzo”, o rischioso perchè facilmente smascherabile?

  3. Elisondo scrive:

    Sono assolutamente d’accordo con te Enrico.
    Mi sembra chiaro che chi adotta un approccio del genere lo fa solo perchè è cool dire che si ha anche un blog. Ma queste logiche da vetrina (grazie al cielo) non funzionano online e sono facilmente smascherabili (correggimi se sbaglio sbaglio, ma io credo che gluca si riferisse a questo). Penso che chi sostiene che i blog siano “just another business communication channel” sia solo disperatamente aggrappato a un vecchio modello che ha paura ad abbandonare.

  4. Enrico scrive:

    Elisondo ha ragione quando sottolinea la paura delle aziende a confrontarsi e a sperimentare nuove forme di comunicazione. Anche perchè, se ci pensiamo un attimo, non c’è bisogno di trasformarsi di colpo in un’enterprise 2.0 . Ci sono molti strumenti, approcci graduali, che vanno studiati partendo dal presente. La cosa fondamentale è abbracciare la cultura, il modello 2.0 . Altrimenti, come in sostanza dice Gianluca, meglio fare bene cose tradizionali e lasciar stare la blogosfera.

  5. Andrea@Marketing Reloaded scrive:

    Cari tutti,
    condivido le vostre osservazioni.
    Sento anch’io spesso parlare di imprese ma anche di eventi in cui si attacca un blog gestito da un’agenzia. Tale modello vede appunto il blog come ulteriore canale che in questo periodo fa moda e tendenza avere.
    L’enterprise 2.0 (o impresa reloaded come si dice dalle mie parti…) deve cambiare il modello di business e decidere se aprirsi al “network di valore” dialogando con comunità on e offline; l’apertura di un corporate blog è una decisione strategica che va saputa gestire: casi come Ducati e Minoli che parlava in prima persona su Desmoblog sono pochi e implicano un ripensamento complessivo delle logiche di business e dell’organizzazione aziendale

  6. alias_parolina scrive:

    Sono d’accordo sul fatto che il ghost-blogging è il contrario del modello di comunicazione del blog, che è in primo luogo spazio di prima persona.

    Però pensavo: potrebbe essere possibile un blog “dichiarato” come intermediato, nel senso – un blog dove è il CEO stesso a spiegare che c’è una persona con cui lui parla e si confronta, e che raccoglie il suo pensiero, e che si presta a lavorare insieme a lui per dialogare attraverso queste forme di network sociali? Una persona che si assume il compito di stare dietro ai commenti, mentre magari il CEO in questione seleziona gli spunti per lui migliori e su quelli risponde?
    Sul fatto che il CEO non ha tempo, penso che si dovrebbe lavorare per sfatare il pregiudizio… spesso crede di dover postare continuamente, quando in realtà un Edelman piazza un post ogni 15 giorni, e nessuno si scompone).

    Potrebbe essere un buon primo passo, sempre che comunque, come anche voi avetedetto, dietro ci sia un ripensamento reale delle logiche del business che non trasformi la “mediazione” in limatura, lucidatura, insomma in comunicazione “1.o”

  7. Enrico scrive:

    @parolina: beh, una sorta di portavoce mi sembra comunque meglio di un ghost, se non altro l’aspetto della trasparenza sarebbe rispettato. Concordo sul fatto che per un CEO non sia indispensabile un post al giorno. Quello che conta , tanto per cambiare, è il “peso” del post, il suo valore, anche se ce n’è uno ogni 15 giorni.

  8. Enrica Orecchia scrive:

    Sottoscrivo: il blog è autenticità (da non confondere con lo sproloquio a ruota libera che un dirigente d’azienda non si può permettere). Se non vuole o non può scriverlo lui, è meglio che usi altre forme di comunicazione.

  9. noloveboyday scrive:

    Se anche tu sei contrario alla giornata dell’orgoglio pedofilo organizzata sul web per il 23 giugno, unisciti a noi BLOGGERS CONTRO IL LOVEBOY DAY: inserisci il banner dell’iniziativa sul tuo blog.
    noloveboyday.blogspot.com

    Ciao e grazie dell’attenzione.
    BLOGGERS CONTRO IL LOVEBOYDAY

  10. Carlo Odello scrive:

    Il problema è che il blog sta venendo assorbito nei canali di comunicazione tradizionali. Processo lento e inesorabile? Non so, certo che se questo è il trend, chiaramente verrà trattato come un canale tradizionale, quindi anche con tecniche di ghost writing.

  11. Enrica Orecchia scrive:

    interessante la tesi di Carlo Odello, non ci avevo pensato ma mi sembra logico che prima o poi debba finire così, con il blog assimilato ai canali di comunicazione tradizionali. E’ stato così per tutte le altre forme di comunicazione, e anche per tutte le novità legate a internet (pensate solo all’e-mail che una volta era un modo di scriversi rivoluzionario mentre adesso se uno manda un fax gli ridiamo dietro e gli diamo dell’antidiluviano). Non credo però che questo processo si svolgerà in tempi brevissimi, per cui nel frattempo è meglio che anche i corporate blog conservino un po’ di autenticità (è quello che ci si aspetta ancora da loro).

  12. Enrico scrive:

    @Carlo: certo il trend potrebbe essere quello che descrivi, però, in senso sostanziale e non tecnico, non lo chiamerei più un blog.