Un bel post apparso recentemente su Influence 2.0, il blog di Cimfony, richiama l’attenzione sulla pratica del “pay per post”, soprattutto in riferimento ad un articolo apparso sul Wall Street Journal che sembra considerare questo genere di attività una simpatica e innovativa iniziativa di comunicazione a basso costo, riportando uno specifico caso.
Sottolinea il buon Jim Nail: “I’ve said it before, and I’ll say it again: paying bloggers to write about you isn’t blogging, it’s copywriting.”
Non posso che accodarmi al giudizio di Jim: un’azienda che paga qualcuno perchè parli bene dei suoi prodotti non può essere vista come un segno della crescente importanza della blogosfera, ma è invece la dimostrazione che molti marketer continuano a ragionare sulla blogosfera in termini strettamente web 1.0 (o forse meno). Insomma, come ho già avuto modo di rilevare, vedono un media come un altro, ignorandone totalmente la natura.
Scrive ancora Jim: “This is the wrong model for blogging because it contradicts the essence that makes blogging different from other media: blogs are supposed to be the unvarnished thoughts, experiences, and opinions of We, the People. Blogs have attracted people because we no longer trust that the products in TV shows — even the stories on the news — are the result of impartial editorial judgment.”
sì, questa è la realtà dei blog adesso, ma c’è da chiedersi quanto durerà, prima che le aziende decidano di impossessarsene in modo massiccio per trasformarli in publiredazionali.
beh, prima di impossessarsi della blogo-sfera occorre che qualcuno glielo permetta… e poi non credo che un’operazione di questo genere possa pagare: ormai le sponsorizzazioni sotterranee impiegano molto poco ad essere scoperte.
il payperpost non sfondera’ è troppo tagliato con l’accetta.
l’attacco sara’ piu’ sottile, passera’ per la solleticazione dell’ego del blogger: inviti, cocktail, party, ecc.
Concordo con [m]m, ma mi sa che più di un’azienda ci proverà comunque.