Quando mi è giunto il gentile invito di Anna, di Hagakure, qualche dubbio l’ho avuto.
Perchè il fatto di essere invitato a un incontro il cui argomento principale è l’ultima campagna pubblicitaria di Tampax (potete vederla in anteprima qui), diciamocelo, qualche remora me l’ha creata.
“Che c’entrerà mai il sottoscritto con la pubblicità di un assorbente interno ?” Mah…
Poi però la curiosità ha prevalso. Ed è stato un bene.
Incontrare una persona come Giorgio Brenna, Amministratore Delegato di ARC Leo Burnett, (l’agenzia autrice della campagna in questione ) è stato utile, istruttivo, stimolante.
Ma andiamo con ordine.
Prima di tutto la campagna. “Chapeau” alla squadra di Leo Burnett per aver saputo portare un’azienda come Procter & Gamble a una comunicazione (globale) così “di rottura” su un brand come Tampax. Pur non essendo “in target” (e nemmeno un esperto di pubblicità) lo spot che ho visionato su YouTube mi ha ispirato simpatia, per l’approccio fortemente ironico, un po’ “acido” e decisamente innovativo per una product category piuttosto “imbalsamata”sotto questo profilo.
L’idea di questa “Mother Nature” rende onore alla filosofia di Mr. Leo Burnett, che vedeva nella parola “change” il senso del proprio mestiere.
Ma il cambiamento, l’innovazione, non è solo nella campagna in se’. Perchè, contro molte consuetudini, c’è anche la preview su YouTube, e c’è la pagina su Facebook.
E qui arriviamo alla mia chiacchierata con Brenna. Chiacchierata che naturalmente (per colpa mia) si è subito concentrata sul rapporto tra comunicazione delle aziende e i media digitali.
Il quadro che Giorgio mi ha offerto mi è parso molto lucido e, ahimé, piuttosto desolante.
Le aziende, soprattutto quelle grandi, vedono ancora tutto quello che c’è sul web (dai siti ai blog, ai social media) come qualcosa di ancora molto borderline, per giovani assatanati di computer, e, soprattutto, non vedono assolutamente il potenziale di interazione del web, che viene invece considerato un media nel senso più “povero ” e restritivo del termine; tanto e vero che in fase di pianificazione delle attività , è il mezzo residuale su cui si investe quello che è avanzato dopo TV, carta, radio e eventi, per comprare banner (incredibile, ancora loro…) e se va bene, parole per la ricerca online.
Insomma, tranne poche e peraltro clamorose eccezioni (Nike per esempio) la distanza culturale tra marketer e i cosiddetti “new media” è ancora notevole.
Ma altrettanto interessanti mi sono parse le sue considerazioni sulle agenzie di pubblicità in generale.
In modo del tutto analogo a quelle di PR, anche le agenzie di pubblicità hanno bisogno di rivedere profondamente i propri modelli di business. Non solo sotto l’aspetto puramente economico ma anche, e soprattutto, sotto l’aspetto dell’utilizzo delle risorse e dei processi di produzione / erogazione dei servizi.
E sotto questo aspetto Brenna si augura, giustamente, che la crisi attuale contribuisca a forzare questo rinnovamento, premiando coloro che questa necessità l’hanno compresa (e non da oggi).
Siamo in due caro Giorgio, siamo (almeno) in due.
Un doveroso saluto ai colleghi blogger Flavia Brevi e Sara Carpinello e Davide Colombo, i ragazzi di “Don’t worry, be creative” che hanno giè scritto QUI e QUI
E nuovamente grazie a Giorgio Brenna per la sua disponibilità.
P.S. C’è una frase di Leo Burnett (morto nel 1971) che dovrebbe essere oggi scritta sui muri delle aziende che si affacciano nei social media: “What helps people, helps business.”