Cambiamenti ignorati. (Communication Relax blues)

E’ vero: quando non si sa come reagire a un cambiamento, la strategia più diffusa è ignorare il cambiamento. (se di “strategia” si può parlare…)

Il cambiamento su cui vorrei brevemente soffermarmi è evidente, così come eclatante è il fatto che viene accuratamente ignorato.

Il dato di fatto è questo: i consumatori sono sempre meno disposti a prestare attenzione alla pubblicità tradizionale e ripongono sempre più fiducia nei cosiddetti “consumer-generated-media” (CGM) e nelle raccomandazioni di altri consumatori.

Una recente ricerca Intelliseek sottolinea come, rispetto all’anno passato, i consumatori siano del 50% più disponibili ad essere influenzati dalle raccomandazioni “word-of-mouth”. Il CEO di Intelliseek, Mike Nazzaro, avverte che il panorama della comunicazione pubblicitaria sta cambiando, costringendo i marketer a allargare e ridefinire i concetti di media, di influenza e di “audience reach”. Se i “consumer generated media” stanno assumendo un ruolo così significativo, è assolutamente necessario che i marketer comincino a misurare, gestire e influenzare questa area e, altrettanto importante, a affrontare situazioni in cui i consumatori esprimono pubblicamente pareri negativi sui brand.

Vi siete agitati ? Vi sembra un fatto rilevante ?
Tranquilli.
Rilassatevi.
Non se ne è accorto praticamente nessuno.
Se proprio non avete niente di meglio da fare, potete dare un’occhiata qui, ma non c’è fretta… davvero.

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5 risposte a Cambiamenti ignorati. (Communication Relax blues)

  1. Carlo Odello scrive:

    Mi sembra che questo tuo post ben si leghi al citizen journalism. Sono recentemente incappato nel tema, per me familiare perché una mia amica me ne fa sempre un “testa tanta”, ma mai più di tanto approfondito.
    Ma leggendo il blog di Richard Edelman (http://www.edelman.com/speak_up/blog) mi sono reso conto che questo potrebbe in qualche modo cambiare il nostro modo di lavorare. Nella mia vita professionale mi occupo anche dell’ufficio stampa della società per la quale lavoro e il mio target sono i giornalisti: in redazione o freelance, pubblicisti o professionisti, ma gente che generalmente vive sul riportare notizie. E per loro preparo quindi comunicati stampa ben definiti e uso altri strumenti profilati sulle loro esigenze.
    Se un giorno una certa percentuale di notizie iniziasse a essere riportata da “cittadini”, volontari dell’informazione, come dovrei impostare il mio lavoro? Riuscirei almeno ad avere un profilo tipo o sarei costretto a una comunicazione atomizzata, personalizzata verso il singolo?
    Le domande quindi sono due: che estensione avrà il citizen journalism? Saranno profilabili i target? Anzi sono tre, perché c’è una domanda ulteriore: quali i mezzi da usare?
    Il mio parere, come riporto anche nel mio blog, è che non avremo mai un’estensione tale da eliminare i media tradizionali, soprattutto per motivi economici, ma come fai giustamente rilevare il WOM è un aspetto sempre più importante nelle decisioni dell’individuo e il citizen journalism è una forma di questo.

  2. Maurizio Goetz scrive:

    Questo post passerà innosservato o qualcuno comincierà a riflettere?

    Affrontavo le stesse tematiche, da un’altro punto di vista proprio qui
    http://marketingusabile.blogspot.com/2005/10/branding-in-fa-minore.html
    e sono sempre più sconcertato che alla maggior parte delle agenzie tradizionali non gliene importa nulla. Ma di chi è la colpa di tutto questo?

  3. Enrico scrive:

    La famosa domanda da un milione di dollari, Maurizio. Come ben sappiamo ci sono sicuramente operatori che non si prendono la briga di assumere il ruolo consulenziale che dovrebbero avere, e nemmeno ci provare a spiegare ai loro clienti le esigenze di innovazione. Dall’altra parte è vero che, lo abbiamo detto sino allo sfinimento, la cultura dell’innovazione in generale è la grande assente in molte aziende. E tempo per aggiornarsi non se ne vuole trovare…

  4. Maurizio Goetz scrive:

    Secondo te, con l’affaire Lapo Elkann, la Fiat ha avuto un danno di immagine? Se si come potrebbe fare per rimediare e quanto potrebbe costare? In giro per i blog, vedo che non si parla d’altro. Questo si dovrebbe configurare come gestione di una crisi dal punto di vista delle pr?

  5. Enrico scrive:

    Caro Maurizio, questo più che “crisis management” è un caso di “tragedy acceptance” Quando si associa in modo così forte il rinnovamento di un brand a una persona, e a questa persona capita quello che è successo a Lapo Elkann, il danno è forte, anche se, per fortuna della Fiat, ultimamente oltre a Lapo e alle felpe si sono visti anche prodotti “nuovi”. Ma il messaggio di rinnovamento e positività, te lo saluto…
    La brand image al momento non è un asset, è un drammatico fardello. D’altra parte Fiat è una azienda con uan storia di fortissima identificazioe tra brand e famiglia Agnelli e dintorni, perciò…